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26 Luglio 2024Sentiamo parlare di separazione delle carriere tra Giudici e Pubblici ministeri e ne sentiamo discendere un dibattito acceso.
MA che senso ha? Che cosa comporta, in pratica, nella nostra vita di cittadini? Un sofismo di avvocati e magistrati o una questione vera, da porsi?.
Tralasciato ogni tecnicismo, la risposta a quelle domande è molto semplice: ciascuno di noi ha diritto di esigere che il Giudice che dovrà pronunciarsi sul suo caso sia imparziale, indipendente, autonomo. Questo è un concetto che certo è chiaro a tutti: se l’arbitro gioca la partita, non è più arbitro.
Non è cosi chiaro, invece, oggi dove i magistrati che svolgono la funzione di Giudice e quelli che invece sono Pubblici Ministeri (cioè sostengono l’accusa nel processo) appartengono ad un’unica categoria, condividono la progressione in carriera, e addirittura si giudicano a vicenda. Da ultimo, hanno l’ufficio nello stesso palazzo e possono (pur con qualche limitazione) passare da una carriera all’altra.
Onestamente, in un sistema nel quale la figura più importante è quella del giudice, è opportuno che chi svolge il ruolo di una delle parti all’interno di un processo ( Il PM, appunto, contrapposto al difensore) non possa in alcun modo saltare dall’altra parte del banco.
Per questo, le carriere di Giudice e di Pubblico Ministero devono essere separate definitivamente: vogliamo che chi accede alla magistratura, al termine del periodo di tirocinio, faccio una scelta senza ritorno. Chiediamo, in altri termini, che tra la funzione di giudice e quella di Pubblico Ministero ci sia la stessa distanza che c’è tra quella di Giudice e quella di difensore.
Da questo, nessun magistrato, sia chiaro, subirà pregiudizio, perché nessuno dei suoi diritti sarà limitato in alcun modo.
I Magistrati, tuttavia, gridano allo scandalo e protestano vibratamente contro questa riforma, richiamandosi alla Costituzione e alle loro garanzie, poste nella nostra carta fondamentale, la “ più bella del mondo” e quindi intoccabile.
A me pare che spesso, quando parliamo della nostra Costituzione, ci comportiamo esattamente come gli innamorati, i quali, rivolgendosi alla fidanzata, dicono: ”Tu sei la ragazza più bella del mondo”.
Può darsi che sia così, ma è possibile – a volte – che l’assunto non sia del tutto vero.
La nostra Costituzione è, senza dubbio, meravigliosa nella prima parte, quella concernente i diritti, ma, trascorsi quasi 80 anni dalla sua emanazione, comincia a mostrare i segni del tempo, soprattutto nei titoli dedicati alla disciplina ordinamentale.
Uno dei punti deboli, appunto, potrebbe essere quello che riguarda l’assetto dell’ordine giudiziario, in relazione al quale, come risulta dalla settima disposizione transitoria della Costituzione stessa, “fino a quando non sia emanata la nuova legge sull’ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione, continuano ad osservarsi le norme dell’ordinamento vigente”.
Bene. Dal 1948 ad oggi, ben poco è cambiato e, quel poco, non ha neppure scalfito l’impianto normativo promulgato nel famigerato ventennio.
Al contrario, è cambiato il codice di procedura penale, che, dal 1989, ha sostituito il vecchio rito, introducendo un modello processuale ispirato al sistema accusatorio, il quale, com’è noto, si fonda sulla rigida separazione delle funzioni e delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura requirente.
Ora, secondo il contestato disegno di legge governativo, si vorrebbe – dopo quasi 80 anni di storia repubblicana – dare attuazione alla settima disposizione transitoria, ridisegnando finalmente l’ordinamento giudiziario e separando le carriere dei magistrati. I quali, come leggiamo ogni giorno sui giornali, minacciano addirittura di incrociare le braccia, in difesa – dicono – dell’indipendenza della magistratura e della Costituzione, indipendenza che sono certi – con la separazione delle carriere – di perdere (non comprendo, ma è un mio limite, in base a cosa).
Sia chiaro: nessuno che abbia il minimo senso di responsabilità istituzionale può desiderare l’asservimento della magistratura al potere politico, e certo non chi scrive; ma il disegno di legge all’esame del Parlamento non contiene alcuna disposizione che potrebbe concretizzare il rischio paventato.
Ad ogni buon conto, per essere più realisti del re, sarebbe sufficiente cambiare una parola – una sola – nel testo dell’articolo 101 della Costituzione, secondo il quale, nella odierna dizione, “I giudici sono soggetti soltanto alla legge.”
Per scongiurare ogni equivoco, si scriva invece che “i Giudici” “i Magistrati”, categoria alla quale appartengono tanto i giudici, quanto i pubblici ministeri.
Il principio sarebbe salvo; l’indipendenza, pure.
Ma la garanzia di imparzialità del Giudice rispetto all’accusa, che avremmo separando le carriere, pure, e questo va nell’interesse preminente di tutti i Cittadini, e della Giustizia stessa