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18 Luglio 2024È un argomento poco trattato dai media se non in caso d’incidenti macroscopici come quello recente di Satman Singh, un lavoratore indiano che ha avuto un braccio tagliato da un macchinario agricolo, morto dissanguato senza che il padrone dell’azienda agricola per la quale lavorava lo portasse immediatamente al Pronto Soccorso, ed è stato invece abbandonato davanti il luogo dove abitava col braccio posato a fianco in una cassetta.
Si trattava di un lavoratore in nero, e per questo il datore di lavoro non lo ha portato direttamente in ospedale, al fine di evitare sanzioni. Avrebbe dovuto essere portato l^ da qualcuno, rispettando un silenzio omertoso circa le cause dell’incidente. Pena, la perdita di future altre occasioni di lavoro da parte dei caporali.
Purtroppo il fenomeno de lavoro nero non riguarda soltanto l’agricoltura, più o meno mediato dal caporalato, ed è assai rilevante. Trattandosi di fenomeno sommerso, la sua quantificazione è fatta di stime, che tuttavia convergono, secondo la CGIL, intorno a 3 milioni e oltre di persone di cui 230.000 nel settore agricolo. Se l’ISTAT scrive che i lavoratori (ufficiali) sono oggi 23.729.000 quelli in nero pesano sul totale oltre l’11%. Rapportati ai lavoratori ufficiali, 13 lavoratori su 100 sarebbero irregolari.
La Fondazione Placido Rizzotto lo ha molto approfondito con una serie di rapporti sulle agromafie e la geografia del caporalato.
La geografia del fenomeno
Nel settore agricolo sembra diffuso in tutta la penisola, non solo al Sud. Vi è una concentrazione nell’agro pontino dove Il Manifesto del 7 luglio parla di 22.400 lavoratori assunti i un anno nelle seimila aziende agricole, 21.349 con contratti a termine. Di questi 13.869 sono stranieri e provenienti soprattutto da India, Romania e Bengladesh. Le ispezioni nel 2023 in tutto il Lazio sarebbero state soltanto 222.
Nel Trevigiano il fenomeno è emerso per la raccolta del radicchio. Il Gazzettino descriveva giorni fa il fenomeno in Veneto, nell’area di Oderzo. La Fondazione Placido Rizzotto che ha dedicato molti approfondimenti al tema, cita anche la zona del Prosecco.
Sembra che l’azienda piccola e con esigenze occasionali (vendemmia, raccolta pomodori, asparagi, radicchio, arance, ecc.) sia più incline ad assumere in nero. Nel crescere della dimensione aziendale spesso il fenomeno si attenua, come nel Trentino, dove l’agricoltura è più organizzata con cooperative o consorzi tipo Melinda o Cantina di Mezzacorona.
Il Gazzettino del 5 luglio scorso descrive un meccanismo che imprigiona i braccianti agricoli in una vera e propria schiavitù, riferendosi sempre al Trevigiano. Il sistema funziona così: i lavoratori venivano attirati in Italia grazie ad annunci caricati su Tik Tok dal caporale, in cui si promettevano permessi di soggiorno e assunzioni senza dover presentare documenti. Almeno una cinquantina di cittadini indiani sarebbero caduti nella rete (si riferisce sempre al Trevigiano), appoggiandosi al caporale che prometteva di occuparsi di lui di nulla osta e permessi di soggiorno… L’articolo, di Giulia Zennaro, continua citando il Segretario regionale di CGIL Veneto Giosué Mattei: Si creava così tra Italia e India una vera e propria compravendita di nulla osta, che costavano anche 10-12.000€ ai lavoratori, spesso già indebitati per il viaggio. I nulla osta provenivano soprattutto da Napoli e Caserta – luoghi notoriamente immuni da mafie e camorre! -. Il meccanismo era un trucco abile, e nessuno si è accorto dell’irregolarità. Cos’ il lavoratore, ingannato, si trova inerme, senza permesso di soggiorno, nelle mani del caporale, spesso costretto a vivere il più nascosto possibile, in case squallide, in stanze dove sono ammassati anche in dodici, chiusi dentro e con divieto di uscire.
Vedo che il settore agricolo è stato oggetto di maggiore attenzione, ma i dati sopra citati indicano che il fenomeno è ben più diffuso in altri settori. Sento che a Venezia e nelle spiagge adriatiche che molte assunzioni in nero sono concentrate nel settore turistico. E non riguardano soltanto gli immigrati irregolari ma italiani assunti magari regolarmente per poche ore e poi costretti a lavorare in nero magari per 12/14 ore. Altri assunti regolarmente ma costretti poi a restituire per contanti parte della retribuzione al datore di lavoro. Col vantaggio fiscale di quest’ultimo che in tal modo si scala l’intero costo, fittizio, in contabilità. Altro settore debole è l’edilizia, e spesso il negozio piccolo al minuto.
La Fondazione Placido Rizzotto in un 5° Rapporto sul tema cita oltre all’agricoltura: commercio all’ingrosso e al dettaglio, commercio e logistica, attività manifatturiere, turismo e ristorazione, costruzioni, servizi di cura. Sembra evidente come il pagamento in nero di solito è coperto da incassi altrettanto in nero.
Così descritto, il fenomeno appare macroscopico ma rimane sommerso fino a quando non avviene il caso eclatante, magari di incidenti e morti.
Come mai? Certamente vi è un segmento di piccolissime imprese ai margini della sopravvivenza economica. La microazienda, quella con meno di 10 addetti, è molto più numerosa che negli altri paesi europei. Poi il produttore agricolo è spesso tra l’incudine e il martello, perché i prezzi di vendita gli sono imposti dal grossista o dalla grande distribuzione; poi vi è la concorrenza, come da Spagna, Tunisia, Marocco, e abbiamo letto di arance non raccolte o anche altri prodotti. Poi vi è invece chi specula sulla pelle del lavoratore.
L’azienda grande è in genere immune. Confindustria è a favore del salario minimo. Ma vi sono eccezioni se abbiamo visto noti marchi del lusso subappaltare a laboratori magari cinesi, pagando quasi niente per poi vendere ai prezzi che vediamo nelle loro vetrine.
La politica non affronta il problema: il fabbisogno di lavoratori è maggiore rispetto agli ingressi regolari previsti dal Decreto flussi. La Legge Bossi/Fini è vecchia, ispirata a criteri populisti e di pura demagogia, andrebbe rivista. Comunque, il quadro normativo, secondo gli esperti, è ipocrita e favorisce il non riconoscimento de lavoratore, costretto a rimanere fuori regola.
Il governo, a seguito dell’ultima clamorosa tragedia, ha annunciato che il Ministero del Lavoro e l’INPS stanno studiando un nuovo sistema informativo con dati di amministrazioni e regioni, un database sugli appalti in agricoltura, con l’idea di potenziare i controlli. Wait and see! L’impressione che ho, da inesperto, è che vi sia un coacervo d’interessi che spinge all’omertà da parte della politica. Sarebbe facile avere una normativa più mirata, forze dell’ordine e ispettorati de lavoro più attenti. Ma la politica in tutto l’Occidente perde consenso causa l’eccesso di immigrazione percepito soprattutto dalle fasce meno abbienti come un pericolo. Il populismo soprattutto di destra trionfa, pur con la felice eccezione britannica. Le Monde in occasione delle recenti elezioni francesi citava il caso di immigranti oramai ufficialmente radicati legittimamente, che votano Le Pen perché si sentono minacciati dai nuovi arrivi. Succede lo stesso con l’operaio di Detroit che vota Trump. I socialdemocratici danesi si difendono sposando le idee della destra estrema di fronte ad esempio a un quartiere a Ovest di Copenhagen, in direzione Roskilde, a netta prevalenza di islamici.
La regolarizzazione de rapporti di lavoro causerebbe aumenti nei prezzi. Già chi ha redditi bassi mangia male, ha una dieta povera di frutta e verdura. Così nell’Europa civile e democratica si accettano, tacitamente, forme di schiavitù e violazione dei diritti umani e civili. Basta ignorare il fenomeno. I cattolicissimi polacchi ospitano gli ukraini ma in pieno inverno spogliano chi arriva dalla rotta balcanica e lo fanno morire al freddo. Meloni e Von der Leyen fanno accordi col dittatore tunisino, poi arrivano foto di migranti trasportati nel Sahara e morti nel deserto. Peraltro Minniti da ministro dell’Interno aveva regalato motovedette alla guardia libica!n Ora sento che vi è un divieto di fotografare le navi che sbarcano i morti raccolti nel Mediterraneo.
Non possiamo accettarlo. Dobbiamo reagire.