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30 Gennaio 2025Riapre il glorioso bar Grand Central – ribattezzato, con una scelta direi felice, Gran Piave – di piazzetta Olivotti, che aveva chiuso i battenti all’inizio di ottobre scorso, dopo l’ennesima “spaccata”, ovvero furto con scasso che aveva provocato danni ben più ingenti del bottino dei ladri. La storia di questo bar, bistrot e ristorante è paradigmatica: fu aperto nel 2019 con l’ambizione di diventare un luogo di incontro riconosciuto e frequentato, con serate musicali, incontri culturali. Avrebbe dovuto e potuto essere una risposta proattiva, posto com’è in un luogo simbolo della mutazione etnica della città come via Piave, alla nota problematica di una città divisa tra i cittadini nativi e quelli con background migratorio (che in terraferma costituiscono un quinto della popolazione), due comunità parallele e sostanzialmente non comunicanti. Era, in altre parole, il tentativo di portare le due città a contatto e a fondersi, in un luogo appunto di incontro e convivenza. Purtroppo, il generoso tentativo non è andato a buon fine. Il precedente proprietario lamenta la penalizzazione di essere esterno al ristretto perimetro tradizionale della movida (ma proprio l’allargamento di quel perimetro, fino appunto a toccare il rione Via Piave, ovvero il simbolo dell’altra città, era la coraggiosa scommessa), la presenza di spacciatori e sbandati che allontanavano i clienti, quando l’auspicio era precisamente suscitare il fenomeno opposto, e un generale tiepido riscontro delle iniziative intraprese. Goccia che ha fatto traboccare il vaso, l’impressionante sequela di effrazioni subite, al pari di molti altri esercizi, triste e tangibile manifestazione di quel binomio degrado/criminalità che costituisce un problema ad oggi insoluto e che rappresenta certamente una delle più gravi note negative del bilancio politico dell’Amministrazione Brugnaro.
Riapre il Grand Central si diceva, ma sarà un’altra cosa, ovvero un locale etnico di cucina turca e pachistana (a costituire forse un minidistretto con l’ottimo e adiacente Cà dei Greci), gestito e condotto da imprenditori bengalesi che operano già in altri esercizi in città. Insomma, il bicchiere mezzo pieno è che riapre un’attività, cui auguriamo le migliori fortune (e meno effrazioni); quello mezzo vuoto è che gli intenti di rompere il muro invisibile tra le due città parallele non hanno avuto successo.
Resta il fatto che questo è (e sarà per le amministrazioni future) un tema centrale, direi fondamentale per il futuro della città. Sia chiaro, il problema è complicatissimo, per più di una ragione. E non aiuta certo il fatto che è facilissimamente preda di strumentalizzazione politica, perché si presta alla propaganda a buon mercato nell’uno e nell’altro senso (e i cavalli di battaglia delle opposte rappresentazioni da sinistra e da destra del problema sono talmente scontati che non tedio il lettore nel ricapitolarli). E soprattutto è un tema complesso perché si articola in almeno tre sottocomponenti: 1) il tema generale della criminalità che è indubbiamente legato alla presenza di immigrati ma non è assolutamente coincidente (prova ne sia che sono le stesse comunità di stranieri ad esserne vittima); 2) il tema dell’accoglienza e dell’inclusione delle comunità con background migratorio; 3) il tema del superamento delle comunità parallele, di cui all’incipit di questo articolo. Attenzione che quest’ultimo tema è cosa distinta dal secondo, ovvero dal mero accoglimento.
Dei primi due sottotemi si è discusso e si discute molto. Rimando per esempio alla ricca serie di proposte contenute nella pubblicazione “I Futuri di Venezia” (e mi si perdonerà per la citazione, essendone uno degli estensori, pur in minima parte). Tento di dire qualcosa sull’ultimo punto. Dico subito che trovo molto interessanti le considerazioni di Michela Manente https://www.luminosigiorni.it/cultura/un-periodo-positivo-ma-sfidante-per-la-scuola-dalle-citta-multiculturali-alle-aule-interculturali/ su questa testata (anche se attenzione che il tema multiculturalità è scivolosissimo ma non voglio andare fuori tema). E agganciandomi a queste dico che una comunità per funzionare deve avere la percezione di aver un destino comune, in modo automatico e quasi inconsapevole. Cosa difficile quando i componenti di questa non hanno usi, abitudini, valori comuni (vedasi a tal proposito un vecchissimo articolo https://www.luminosigiorni.it/cultura/il-difficile-esercizio-della-convivenza/ proprio su questo aspetto) ma assolutamente necessaria. I membri della comunità, tutti, non devono percepirsi come ospiti temporanei, come utilizzatori di un sistema ma come passeggeri di una nave, dove tutti condividono il destino: se la nave procede diritta per la sua rotta bene per tutti, se questa si infrange sugli scogli, ci rimettono tutti. E rimanendo nella metafora, per imbarcare questi nuovi cittadini vanno agite entrambe le leve dei diritti e dei doveri. Quindi, sacrosanto fornire servizi di prima accoglienza, supporto e informazione su permessi di soggiorno, accesso al SSN, corsi di lingua, garantire luoghi di culto, affrontare con modalità anche innovative il tema delle classi scolastiche con altissima concentrazione di bambini non madrelingua. Ma deve essere anche agito il lato doveri: il rispetto delle pari opportunità e la prevenzione di abusi e violenza di genere, il rispetto delle regole urbane specifiche, e pure l’osservanza (con l’obiettivo che sia condivisione) di regole anche correnti e apparentemente banali.
Un solo esempio, se vogliamo piccolo, ma significativo: nella stessa pagina del Corriere del Veneto dell’articolo sulla riapertura di Gran Central, c’era un articoletto che riportava l’iniziativa di Veritas di distribuire istruzioni in varie lingue sulla metodologia di conferimento differenziato dei rifiuti. Mi è venuto in mente un amico che mi riferisce della sua frustrazione, quando va ai cassonetti per conferire carta, vetro, organico ecc. che lui diligentemente raccoglie separatamente, di vedere il cinese o il bengalese che arriva con un gigantesco saccone di rifiuti (rigorosamente indifferenziati) prodotto del suo negozio e lo butta dove capita, naturalmente senza curarsi di usare la chiavetta. Vanificando di fatto la sua fatica di fare le cose secondo regole. Ecco, l’obiettivo precisamente è che quel nostro concittadino senta che conferire i rifiuti correttamente è pure nel suo interesse, perché aumenta la percentuale di riciclo, perché non si deve ricorrere agli inceneritori, perché così la bolletta si alleggerisce ecc. Appunto: siamo nella stessa barca. Può sembrare una fisima, ma l’integrazione si fa anche al cassonetto..