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29 Gennaio 2025Dio è morto, Marx anche e io mi sento poco bene. Con la solita ironia Woody Allen dava voce al disorientamento dell’uomo contemporaneo (sarà stata la seconda metà del ‘900 ma è ancora tanto attuale). Era un disorientamento dovuto alla mancanza di appigli, di barre a cui aggrapparsi, di religioni, appunto, in grado di edulcorare le paure e le ansie delle incognite, e di anestetizzare dai dolori che la vita non smette mai di somministrarci.
Oggi come allora, alle crisi globali che fanno degli uomini tante monadi impazzite in una ricerca senza successo di certezze, si accompagna un disincanto inarrestabile e una progressiva secolarizzazione. Non c’è più religione: è il caso di dire, non c’è più un Dio che garantisca pace e uguaglianza. La minaccia di sostituzione etnica, la presenza di minoranze che, con la loro ambiguità contro natura, intendono stravolgere l’ordine naturale delle cose, le imposizioni liberticide che vogliono limitare il progresso in nome di un Green Deal del quale non sappiamo se e quando beneficeremo, hanno avuto un grosso impatto presso la popolazione americana e, intercettate da Trump, hanno favorito una nuova religiosità. Quella trumpiana.
A ben vedere, tutta la sua campagna elettorale è stata attraversata da questo afflato messianico. Corroborato, peraltro, dall’attentato dal quale è uscito miracolosamente illeso. Lo stesso insediamento è stato una sorta di liturgia, permeata di religiosità, suggellata dalle parole dello stesso presidente: “La mia vita è stata salvata da Dio per rendere di nuovo grande l’America”. Perché non crederci allora? Perché abbandonare, in un momento di crisi di valori, questo desiderio primitivo di protezione e di ricerca di qualcuno che si prenda cura di noi, ci protegga e ci restituisca quella grandezza che ci ha reso sempre forti e primi al mondo? La presidenza in America ha sempre rivendicato una missione divina per conto della nazione americana benedetta da Dio. Il cambiamento scioccante introdotto da Trump è consistito nel ringraziare Dio per averlo salvato, sì, ma contro i nemici, contro i democratici, contro i corrotti, contro i cittadini americani che non lo amano e contro quella parte di mondo che non lo appoggia. Il suo, insomma, è un Dio trumpiano, repubblicano, vendicativo ed estremamente divisivo. Non è il dio ecumenico, della fratellanza e dell’amore universale. è un Dio fortemente nazionalista che divide il mondo in buoni e cattivi e ha scelto Trump per far grande l’America. Dio non unisce la nazione americana, ma deve aiutare lui, il presidente, a sconfiggere i nemici interni.
Trump ha ben capito che buona parte del suo paese ha smesso da tempo di credere in Dio. E lo hanno compreso anche i democratici. Ma mentre questi ultimi hanno creduto che questa secolarizzazione si muovesse nel segno della ragione, diciamo europeo-illuminista, Trump ha intercettato, a giusta ragione, un tipo di secolarizzazione più violenta, individualista, aggressiva, opponendole un’idolatria politica supportata da una tecnocrazia miliardaria risolutiva di tutti i problemi. E l’ha proclamata senza ipocrisie al suo insediamento, riscuotendo consensi deliranti e standing ovation cui non si è sottratta neppure la nostra presidente del consiglio.
È la mistica del capo forte che ci salva dal nemico, portata avanti dalle destre di tutto il mondo. Tanto vincente quanto ingannevole e strumentale. D’altronde sappiamo il successo di alcune trovate nostrane: i rosari branditi da Salvini durante i comizi; le urla di Giorgia, madre cristiana sostenitrice della famiglia tradizionale timorata di Dio; le autoproclamazioni di Berlusconi, unto del Signore. Sono interventi che ci raccontano molto sull’efficacia di queste trovate demagogiche. Possiamo dunque stupirci? Stupirci no ma, di sicuro, oggi siamo tutti più inquieti.