Una, nessuna, centomila idee della nuova Commissione UE
28 Luglio 2024COSTUME & MALCOSTUME – “LGBTQI+” (sic) ed altro ancora
6 Agosto 2024Si può restare indifferenti dopo la bufera politica che si è rovesciata sulla città?
Ovviamente no.
E neppure attendisti, come qualcuno suggerisce per il fatto che le implicazioni di corruzione e di conflitti di interesse sono ancora nella fase inquisitoria.
Non si può però attendere sul piano delle prospettive politiche che questa crisi apre.
Perché, certo, politicamente nulla sarà come prima
È quindi necessario dare delle risposte, aprire delle prospettive e rilanciare un piano programmatico, che evidentemente non può non intrecciarsi con la vicenda giudiziaria che riguarda numerosi progetti sulla e per la città. Con il rischio che la valutazione politica sui progetti in corso si confonda con le modalità illegali con cui pare siano in gran parte stati portati avanti. In questi casi va prestata attenzione massima all’evitare di “buttare via il bambino con l’acqua sporca”. Ovviamente l’acqua sporca va tutta buttata e invece sul bambino da non buttare bisognerebbe valutare caso per caso, anche se le prime reazioni in tal senso non sono incoraggianti: si butta via tutto, altrochè.
Devo tuttavia fare una premessa.
Confesso di aver lungamente rimosso la tesi di fondo che le opposizioni nel Consiglio Comunale di Venezia hanno sempre portato avanti da ben prima delle attuali gravi vicende giudiziarie. Vale a dire la tesi che ci fossero, soprattutto nella figura del Sindaco, conflitti di interessi, denunciati sin dall’inizio del primo mandato.
Ma è un fatto caratteriale mio personale: ho sempre istintivamente un rigetto per le conflittualità contrapposte, da muro contro muro, di qua o di là. Il sistema bipolare della politica è infatti la rappresentazione perfetta di un’attitudine che è molto più estesa nella società e che i social hanno amplificato. Su ogni questione l’opinione si spacca come una mela e i due fronti danno della canaglia all’altro. Avviene su tutto, anche sulle ricette di cucina. E figurarsi se, con i sistemi elettorali maggioritari a spingere (per me sciaguratamente) in questo senso, non avviene in politica, che bene o male è la proiezione della società. E in questa contrapposizione la delegittimazione reciproca è la norma. E quando la delegittimazione scatta, d’istinto la rifiuto, senza guardar troppo se ci sono delle ragioni. Non riuscendo ad adeguarmi a questa logica, sono inconsapevolmente portato a sottovalutare anche accuse fondate. Cosa che è puntualmente avvenuta. È un mio limite, lo ammetto, indotto però da un andazzo generale. È un errore, ma ben motivato.
In più, in questo caso, a rafforzare la sottovalutazione, contribuiva il mio personale giudizio sull’operato della giunta veneziana, condizionato dal fatto che una parte dei progetti messi in campo, anche tra quelli coinvolti nell’inchiesta, non mi vedevano pregiudizialmente contrario. Su altri ero e sono contrario, solo su alcuni no, ma anche questo influiva e portava a sottovalutare.
Non nascondo perciò ora una mia profonda preoccupazione: che per reazione venga contrapposta un’alternativa tutta ispirata a un rigetto aprioristico di qualsiasi intervento strutturale e infrastrutturale sul territorio, narrazione peraltro già molto esercitata dai numerosi comitati di volta in volta sorti per opporsi indiscriminatamente a tutte le proposte, supportata dal fatto che gli interventi hanno portato alla corruzione. Ora, l’inchiesta della Procura fornisce un’arma in più, ben più potente, a quella base e a quei comitati, come riflesso nelle trionfanti dichiarazioni pubbliche dei politici che quella base e quei comitati bene o male rappresentano.
Il trasversale partito del no non è un’invenzione di qualche mattacchione in cerca di formule e di etichette, è una realtà vista e rivista in concreto (non solo a Venezia), ascoltata negli slogan più volte. E posso dire che il suo avversario naturale non è “il partito del fare” identificato con il centro destra, sindaco in testa, ma è soprattutto la parte più responsabile, riformista e meno ideologizzata del centro sinistra, a cui rivolgerei un appello perchè non caschi nella trappola, mentre spesso china la testa silente in nome delle alleanze, ingurgitando a malincuore molti no non condivisi. Vanno perciò rimandate al mittente le due equazioni sempre in voga: opere strutturali e infrastrutturali = destra e centro destra (equazione vista da sinistra); conservazione e mantenimento dello status quo = sinistra (equazione vista da destra).
Che i progetti e le esecuzioni di opere pubbliche o di interesse pubblico, ovunque dove ci sono in ballo ingenti fondi pubblici e privati, si prestino facilmente a piccole, grandi e grandissime corruzioni che coinvolgono la classe politica al governo a qualsiasi scala è evidentemente una possibilità sempre sistematicamente in agguato. Non da ora, ma da quando esiste il mondo. E non c’era bisogno di questa inchiesta per saperlo.
Tuttavia, voler speculare su questo dato incontrovertibile per opporsi ad ogni intervento, in nome di una politica meramente conservativa sull’ambiente, e tendenzialmente minimalista, è privo di senso. E denuncia una certa disonestà, in questo caso solo intellettuale, ma altrettanto grave e scoperta nella strumentalità. Qualcuno faceva notare che nelle implicazioni di corruzione dell’assessore Boraso c’era anche l’appalto per lo sfalcio dell’erba al Casinò di Cà Noghera. Sarebbe come se ora si pretendesse di non sfalciare più l’erba al Casinò – pur esso è in definitiva un intervento, un’“opera” – per rischi di corruzione analoghi in futuro. E dallo sfalcio dell’erba in su. Ma questo stanno per fare e per dire gli oppositori più estremi, che già prefigurano campi larghi da loro egemonizzati: un “partito degli onesti” – e ci mancherebbe – che però in nome dell’onestà smonta qualsiasi progetto.
Sarà dunque bene essere chiari.
Una svolta politica a Venezia è assolutamente necessaria e LUMINOSI GIORNI lo ha sempre sostenuto, e non da ora.
Per i limiti evidenti che la giunta veneziana ha manifestato su alcuni temi chiave per la città, soprattutto relativi al centro storico, ma non solo.
Il tema turismo e il tema residenza non sono mai stati affrontati con la necessaria decisione e presi di petto, per l’evidente scrupolo di non alienarsi il consenso di potenziali elettori del settore turistico. E per una ragione più sincera e di pancia del padrone del vapore Luigi Brugnaro, che per carattere e storia personale è mosso da una mentalità ultraliberista che non sente ragioni. E che lo porta a concludere che ogni impresa privata, dalla più piccola alla più grande, in fondo non vada mai non solo osteggiata, ma possibilmente favorita, in quanto produce PIL e posti di lavoro. Vale per i proprietari di appartamenti per i turisti, vale per le imprese alberghiere e turistiche in genere. Ma vale anche per la tutela delle attività di carico e scarico lungo il Canal Salso, per i commercianti di Mestre da favorire con l’accesso alle auto dappertutto; e vale anche per i possessori di auto stessi, da favorire nelle loro abitudini di usarla indiscriminatamente per i fatti loro, a spese dell’evidente rallentamento del servizio di trasporto pubblico. E per molto altro.
L’alternativa, necessaria dunque a questo punto, si costruisce però con un’alleanza di governo che abbia la sua coesione su un programma condiviso. Non si creano alleanze vaste per battere qualcuno o qualcosa, ma prima si concorda un programma analitico e preciso e su quello e solo su quello si costruisce un’alleanza “per”, e no “contro”. Un programma che affronti di petto tutte le questioni irrisolte della giunta in carica prima citate e che nello stesso tempo proponga soluzioni strutturali sulla mobilità e di rigenerazione urbana. Segni incoraggianti in tal senso sono già emersi nel centro sinistra, per esempio da parte di Nicola Pellicani, che ha sottolineato sulla stampa l’importanza di partire solo da “un’alleanza di programma”. Altri l’hnno seguito lodevolmente con la stessa avvertenza.
In più, come ha avuto occasione recentemente di dire pubblicamente il mio vecchio compagno di scuola Gianni De Checchi, c’è la necessità di un programma che non si faccia scrupolo di scontentare qualcuno, anzi, che, se possibile, scontenti molti, dovendo evitare di lisciare il pelo a interessi di parte, e anche a semplici categorie ideologiche.
Il tutto però risanando il clima deteriorato al massimo che si respira nelle stanze della politica, estendendosi alla città tutta. E per una buona ragione che si riferisce al dopo.
E sul clima con cui affrontare tutta la sfida e la gestione di un governo diverso, vorrei al proposito citare due posture e due modalità emerse nelle reazioni politiche all’inchiesta in corso, due posture che fin da ora si caratterizzano per essere alternative tra loro, una da accogliere e l’altra da rigettare, nei toni, più ancora che nei contenuti.
Una postura è quella che trovo leggendo un articolo, apparso su Ytali, di Giuseppe Saccà, capogruppo del PD in consiglio comunale a Venezia. Che all’indomani della bufera giudiziaria e politica, sobriamente, senza urlare, fa una sintetica disamina dei fatti accaduti. E lo fa con la giusta severità e tuttavia senza inveire, concentrandosi subito sull’alternativa e sulla necessità di stilare un programma. Di cui anche lui evidentemente sente la necessità, sostenendo che comunque non si parte da zero, ed entrando già per cenni nel merito di alcuni punti. Molti condivisibili, anche se ancora in parte ispirati a cosa non bisogna fare di ciò che è stato fatto in precedenza. Ma quantomeno aperti, mi pare, ad una visione non dichiaratamente anti-interventistica. In ogni caso Saccà non fa una chiamata alle armi incendiaria, ad una rivolta che aggreghi un mondo indiscriminatamente ribelle, ispirato, per intenderci, al partito del NO a tutto. Segna brevemente una rotta, in attesa che su poche tracce delineate metodologiche e di programma si crei una proposta di governo della città. Conferme di un atteggiamento critico non massimalista di Saccà sono venute da alcune sue dichiarazioni in cui invita a non demonizzare per tutto ciò il privato (Stesso concetto, per altro, espresso pubblicamente anche da Bettin, e che lo dica lui, è già una buona notizia).
L’altra ben diversa postura è invece presente e diffusa tra coloro che, nel mondo movimentista e nell’arcipelago dei comitati, si lanciano in requisitorie di stampo giacobino e, come novelli Saint Just, snocciolano i casi del malaffare, magari anche con competenza e documentata analisi, nulla da dire nel merito. Ma facendolo con toni accusatori, da tribunale del popolo, in cui della giunta precedente non si salva proprio nulla. In queste furiose requisitorie, infatti, persino il risanamento dei conti del Comune viene visto come esempio di conduzione privatistica e aziendale. E se ne capisce la logica implicita: una conduzione invece “non aziendale” non dovrebbe mai preoccuparsi della spesa pubblica, andando in rosso, ecchissenefrega.
Sono appunto le due posture diverse a fare la differenza. Una, quella di Saccà, ragionata, essenziale, rivolta al futuro in senso positivo. La seconda, diffusa nel movimentismo, concentrata ancora molto sul far giustizia popolare al posto della magistratura, alimenta un clima forcaiolo di cui sinceramente non si sente il bisogno. Se un domani un’alternativa dovesse andare al governo con questo ‘sentiment’, ci aspettiamo la continuazione di un clima che continuerà ad essere caratterizzato da una sistematica contrapposizione muro contro muro. Uguale e contraria a quella, pessima, che si è vista in questi tristi anni brugnariani, con una giunta e un sindaco sprezzanti delle opposizioni, spesso umiliate e insultate e soprattutto senza dialogo con esse. Vogliamo creare un’alternativa ripagandoli della stessa medaglia? La piazza dei movimenti sembra prefigurare di sì: ogni azione precedente sarà passata “a filo di spada”, solo perché precedente, e gli eredi di quella stagione infausta, per quanto indiretti e rinnovati, là in un angolo a marcire e a rosicare.
Noi invece auspichiamo il contrario.
Chi governerà, anche con un auspicabile alternativa a questo governo comunale, dovrebbe invece ricreare, sin da ora, un clima politico di tipo istituzionale, in cui si ascolta sempre e non solo formalmente l’altra parte e se possibile si fa in modo di accogliere ciò che di buono l’altra parte propone. Che c’è sempre, come ben sanno gli oppositori attuali.
Ma con questi toni c’è da aspettarselo?