RIGENERAZIONE URBANA Area Pili, una vergogna da ri-generare
31 Maggio 2024A dreAm on water
3 Giugno 2024Carlo Pasqualetto è un giovane, entusiasta imprenditore (nel ramo digitalizzazione per le imprese manifatturiere) di Padova, laureatosi a Ca’ Foscari, che, tra le molte passioni ha anche quella per la (buona) politica. Si candida al Parlamento Europeo nella circoscrizione Nordest per la lista Azione – Siamo europei, partito di cui è Segretario Regionale. Gli abbiamo proposto alcune domande, le stesse poste ad Aurora Pezzuto. Qui il testo dell’intervista, fiduciosi di fare qualcosa di utile per chi desideri conoscere da vicino i candidati e dare qualche spunto di riflessione
- In un reportage apparso sull’Observer Carole Cadwallad, giornalista gallese. raccontò come, tornata al suo paese natale, rimase sorpresa di come i suoi connazionali avessero una visione distorta del rapporto tra la Comunità Europea e il Regno Unito, non riconoscendo le molte trasformazioni positive avvenute in Galles grazie agli investimenti Europei.. Anche qui in Italia un certo tipo di propaganda, più diffusa di quanto pensiamo, ha descritto la Comunità Europea come un elefante burocratico capace solo di bloccare risorse per lo sviluppo. Come si riesce a rompere questa narrativa e cosa dovrebbero fare le istituzioni europee per farsi conoscere meglio?
CP: Non sarei così pessimista. Vero che c’è una narrazione sovranista, tipicamente di Lega e Cinquestelle, per cui l’Europa è vista come un’entità astratta e, come dici tu, un elefante burocratico. Ma sono posizioni, oltre che strumentali, di breve respiro. Certo possono raccattare qualche voto, cercano di speculare sul riflesso pavloviano del “a casa mia decido io” (che è alla base anche della retorica dell’autonomia regionale) ma è pure vero che l’esperienza del COVID, le recenti vicissitudini in campo internazionale hanno mostrato che il problema dell’Europa non è che è troppa, ma che è troppo poca. Preciso Azione si colloca in pieno nel solco della tradizione europeista del nostro Paese. In primis per motivi ideali e culturali: riteniamo che si debba essere consapevoli di quale immenso privilegio sia stato nascere e vivere in questa parte del mondo. Nessun altro luogo del pianeta può vantare di aver fornito un contributo allo sviluppo della civiltà umana minimamente paragonabile a quello del nostro continente. In Europa sono fioriti il Rinascimento, l’Illuminismo, il Romanticismo, l’Espressionismo, in Europa si sono concepite le maggiori invenzioni tecnologiche, il giusnaturalismo e l’elaborazione teorica del contratto sociale e, ça va sans dire, la democrazia.
Dunque, per tornare alla domanda, ovvero a come rompere una narrativa negativa, la mia risposta è che la convinta adesione dei cittadini ad una visione sempre più integrata del nostro continente avverrà naturalmente, per la forza delle cose. Perché si basa non solo su motivazioni ideali, per quanto fondamentali, ma anche banalmente di convenienza. Ovviamente, a condizione che si confermi nei fatti la convenienza di un’Europa sempre più unita. È indispensabile addivenire al più presto (anche a prezzo di dolorose esclusioni per chi non si ritenga pronto) a un’Unione che abbia comune politica estera e una difesa autonoma. Nella consapevolezza che gli interessi europei non coincidono necessariamente con quelli di altri alleati. È l’unica strada per recitare nello scacchiere mondiale un ruolo da protagonista, per testimoniare i propri valori fondanti e non essere, prima volta nella storia dell’umanità, condannati a divenire periferia del mondo. Questo è un dato di fatto oggettivo, che nessuna contronarrazione può contestare.
- Torniamo alle ingerenze esterne e al momento critico che L’Europa sta vivendo nello scenario internazionale: la violenza dell’espansionismo Russo che minaccia i nostri confini, il possibile isolamento degli USA nel caso di vittoria repubblicana alle presidenziali e la crescita economica e politica di Cina e India. Si riuscirà a trovare una sintesi tra le esigenze dei vari paesi europei per iniziare una politica estera (e quindi militare ed economica) coesa e unitaria?
CP: Questa è una partita decisiva, anzi “la Partita”. E la posta in gioco è molto più alta di quanto alla domanda precedente. Perché, se non mi preoccupano le pulsioni retrograde degli elettori di Salvini, è altresì vero che c’è un disegno antieuropeista da parte di schieramenti generalmente di destra in molte nazioni europee che ostinatamente non colgono la necessità di maggiore integrazione (e la prima, sempre più necessaria integrazione è, come correttamente pone la domanda, la necessità di una politica estera, di pace e di guerra, comune. Da questo punto di vista sarà importante il risultato delle urne e sarà decisivo il peso che avranno gli schieramenti europeisti e in particolare quello a cui Azione orgogliosamente appartiene, RenewEurope. Perché la composizione del Parlamento Europeo sarà decisiva precisamente in questa Legislatura (ed è un peccato che in campagna elettorale si parli pochissimo di questi temi) perché hic Rhodus hic salta: è questo il momento di prendere decisioni vitali, penso per esempio al superamento del vincolo dell’unanimità per la sopravvivenza dell’Unione, perlomeno di quella Unione che abbiamo a cuore.
Vorrei infine sottolineare come la messa in atto di una difesa europea è un tema eminentemente politico, non si cada nell’errore di considerarlo un tema tecnico o settoriale. Perché è una precondizione per preservare la sovranità e l’integrità dell’Europa. Sovranità e integrità che oggi vanno difese appoggiando l’eroica resistenza ucraina, che sta combattendo anche per noi, per un principio inderogabile. Non è assolutamente un caso che coloro che, molto ipocritamente, si appellano alla pace, continuano a insistere su inesistenti margini di negoziazione con l’aggressore siano proprio le forze politiche di cui si diceva alla domanda precedente, proprio coloro che quest’Europa la vorrebbero disgregare. Senza cogliere la plastica contraddizione tra la decantata aspirazione alla pace universale e la loro visione di un’Europa fatta di piccole patrie, che sarebbero irrilevanti nello scenario mondiale e facile preda degli istinti predatori dei molti satrapi o aspiranti tali di questo pianeta.
- Oltre alla politica militare ed estera servirà definire una politica industriale comune per evitare errori come quelli commessi con la Globalizzazione, un processo che ha aiutato a distribuire la ricchezza. In molti paesi la qualità della vita dei cittadini è migliorata ma L’Europa, ed in particolare l’Italia, ha invece subito un contraccolpo negativo spesso legato a diversi quadri normativi e sociali. Come possiamo intervenire nel rispetto della libera concorrenza per evitare di perdere la battaglia economica con paesi che oltre ad avere manodopera ed energia a costi più bassi, riescono ad aggirare le regole sociali e di sicurezza che ci siamo dati in Europa?
CP: Permettimi una risposta articolata: c’è sicuramente un tema che potremmo definire di concorrenza sleale. Di fronte a Paesi che hanno un vantaggio strutturale per minori costi dovuti a condizioni di lavoro non accettabili (penso per esempio al lavoro minorile), a costi della sicurezza e del rispetto dell’ambiente la risposta non può non essere un sistema di dazi protettivi, posti con misura, il più possibile mirati ed eticamente giustificabili. Personalmente, per me che credo nel libero scambio, il dazio è una scelta dolorosa ma, almeno in questa fase contingente, inevitabile. Vedo altresì con favore la recente tendenza della Cina di dislocare produzioni in Europa, perché creerebbero occupazione qui e per il fatto di doversi adeguare alle normative e alle condizioni locali verrebbero meno molti degli aspetti di concorrenza sleale che dicevamo.
Ciò detto, però, dobbiamo anche farci “l’esame di coscienza” e guardare in casa nostra e affrontare temi ormai ineludibili come la burocrazia, i laccioli spesso cervellotici che l’Europa si autoaffligge e, segnatamente per il nostro Paese, porsi il tema di far funzionare il Sistema Paese. In Italia i tempi della giustizia, un insieme insensato di burocrazia e incapacità decisionale, l’incertezza e l’interpretabilità delle norme, un’ipertrofia di competenze, una diffusa mentalità contraria all’impresa che guarda con sospetto al concetto stesso di “profitto”, un ambientalismo sovente ideologico e distruttivo, sono ostacoli che scoraggiano chi ha voglia e idee per lo sviluppo. A questo si aggiunga una cronica latitanza di grandi imprese (le sole che possono competere nel mercato globale) e un deficit di investimenti in ricerca e formazione che sono davvero drammatici. Ed è sconsolante constatare che sono tutti temi, purtroppo, sostanzialmente assenti dal dibattito politico nazionale. Proprio per affrontare questi temi è nata Azione, mettere mano ai veri nodi che impediscono lo sviluppo è il vero Riformismo.
- Tra le politiche comuni non possiamo tralasciare la transizione energetica che sta coinvolgendo anche il settore della mobilità e di conseguenza tutta la filiera di fornitura del settore Automotive. Oltre alla Motor Valley emiliana, sono interessate molte medie e piccole aziende del Nord Est. II cambiamento, qualsiasi direzione prenderà, è ormai inconvertibile. Come potranno le istituzioni europee aiutare imprenditori e lavoratori a gestire e guidare questo cambiamento invece di subirlo?
CP: Come l’Europa ha approcciato il tema della transizione energetica è un classico esempio di come NON deve funzionare la UE, una delle scelte cervellotiche di cui parlavo nella precedente risposta. La scelta di aver imposto come unica soluzione l’e-mobility, a mio parere, è stata un clamoroso autogol. In primis perché ho molti dubbi che il modello funzioni: non è questa la sede per entrare nei dettagli ma sottolineo solo che finora l’attenzione è stata rivolta alla domanda di energia che il passaggio massivo alle auto elettriche comporta mentre è del tutto sottotraccia il problema enorme della potenza necessaria e quindi ai titanici investimenti sulla rete di distribuzione che essa comporta. Nella vostra testata avete pubblicato di recente un articolo che descrive il problema in termini chiarissimi ed esaustivi.
Ma soprattutto l’errore è stato concettuale perché una politica corretta era una politica che prediligesse gli obiettivi e non i mezzi. Si doveva porre l’obiettivo (di zero emissioni per esempio) ma rimanendo nel solco della neutralità tecnologica. Stabilire COSA si voleva raggiungere e lasciare il COME alla ricerca, alla libera iniziativa e inventiva della scienza e del mercato. L’UE può e deve essere il catalizzatore di un “contesto” aperto che favorisca e stimoli l’innovazione. In questo senso abbiamo molto da fare nella prossima Legislatura.
- Buttiamo un occhio anche a quanto succede nelle nostre cittadine dove i piccoli negozi, detti di vicinato o di periferia, chiudono sopraffatti dalla concorrenza dei grandi supermercati e dal commercio on-line. La chiusura di questi negozi tende a ridurre i quartieri, soprattutto quelli periferici, a dei dormitori, spesso meno sicuri e meno vivibili. Come si può conciliare la salvaguardia delle nostre città e del tessuto sociale con la difese del consumatore garantita dalla libera concorrenza?
CP: Oggettivamente è un tema poco correlato alle elezioni Europee ma non voglio sfuggire alla domanda. Il negozio di vicinato è un modello che è oggettivamente superato. Per il proliferare delle grandi catene di distribuzione, per (parlo per quasi tutte le nostre città) il proliferare insensato degli ultimi vent’anni dei centri commerciali nella cintura urbana e infine, last but not least, per il diffondersi dell’e-commerce. Quindi attenzione a non farci condizionare da un sentimento puramente nostalgico, alla “How green was my valley”. Porsi l’obiettivo di tornare ai tempi dei nostri padri, anzi, dei nostri nonni sarebbe, semplicemente, velleitario. Ciò detto, la presenza di vetrine aperte in città – in tutta la città, non solo in centro – ha oggettivamente un ruolo sociale, è un elemento importante di ricucitura urbana, di “densificazione” degli spazi, un fattore sostanziale di prevenzione del degrado perché nulla più che una triste successione di vetrine spente e serrande abbassate favorisce, anche a livello inconsapevole, la percezione di abbandono e decadenza. Ma proprio perché il business non può essere oggettivamente lo stesso dei tempi andati, è necessario mettere in atto azioni mirate, preferibilmente con la regia proattiva delle Amministrazioni Comunali. Naturalmente il mix di azioni varia da luogo a luogo ma, a puro titolo di esempio, mi vengono in mente la creazione di un tavolo congiunto tra proprietari e commercianti per condividere e individuare dei costi ragionevoli di affitto dei fondi di negozio, superando il paradosso che oggi molti negozi sono chiusi a causa di pretese dei proprietari fuori mercato. Ancora, fondamentale è favorire le possibilità di accesso e di parcheggio (per compensare l’obiettivo vantaggio competitivo in questo senso dei centri commerciali extra urbani) e, infine, le Amministrazioni possono, soprattutto nelle aree più a rischio degrado, considerare politiche di premialità sia per locatori che locatari (per esempio riduzioni dell’IMI e della tassa rifiuti).