
L’Europa deve reagire, ha gli strumenti per farlo
18 Aprile 2025
NANO PARTITOCRAZIA ARROGANTE E PERVASIVA: PER NON ACCETTARE IL RICATTO, A VENEZIA.
26 Aprile 2025Le commemorazioni ufficiali possono avere un sapore di retorica, le rievocazioni sui media mettono in luce gli episodi di maggior rilievo, dalla marcia su Roma, al progressivo affermarsi di una dittatura specie dopo l’assassinio di Matteotti commissionato dal Duce; non ho sentito recentemente rievocare altri assassini come quello dei fratelli Rosselli. È riemerso recentemente il ricordo del Manifesto di Ventotene con la visione europeista di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, l’attentato di via Rasella e la spietata reazione delle Ardeatine, per arrivare ad eventi finali, quali gli sbarchi delle forze alleate, la battaglia di Montecassino, la liberazione di Napoli, Roma, Firenze, Genova, Torino, Milano e altre città italiane, per finire alla cattura e fucilazione di Mussolini.
Sono fatti storici fondamentali, che tuttavia non rendono l’idea dell’impatto del regime sulla vita di ogni giorno degli italiani, la maggioranza dei quali hanno anche accettato il fascismo, a volte per convinzione, altri per interesse, altri ancora per necessità.
I turbamenti seguiti alla vittoria della 1° guerra mondiale sono stati notevoli. Il sentimento diffuso tra i reduci della famosa vittoria tradita, Le agitazioni sociali con anche la nascita del Partito Comunista a gennaio 2021 a Livorno misero in agitazioni industriali e agrari (così erano definiti i padroni della terra, caratterizzata da rapporti di mezzadria o colonato al Nord e latifondo al Sud). Pochi industriali presero posizioni contrarie, tra questi Adriano Olivetti, il quale più tardi e pur non convinto si adattò a prendere la tessera del fascio, per ovvie necessità di sopravvivenza di un’azienda allora in crescita. Anche se di nascosto teneva rapporti sia con antifascisti sia in Italia che in USA.
Sono nato nel 1937 e malgrado fossi un bambino, percepivo bene l’eco di alcuni episodi familiari. Non ricordo l’anno, ma ho ben presente come i miei nonni avessero ospitato nella loro villa a Treviso un professore dell’Università di Padova che era stato espulso causa le leggi razziali. Pur da piccolo, mi colpiva questo signore, sempre elegantemente vestito, escluso perché ebreo. L’ospitalità durò pochi mesi.
Ho sempre in mente il dramma di mio padre, militare di carriera – amministrativo – di stanza nella ex Jugoslavia, trovatosi miracolosamente in licenza la settimana del 8 settembre, che si poneva l’interrogativo, importante per un militare, se dover aderire alla Repubblica di Salò o passare dall’altra parte. Prese un mitra e coordinò un gruppo di giovani contadini resistenti alla leva della RSI intorno a Selva del Montello.
Fino all’aprile 1944, per paura di bombardamenti, mia madre ci portava di giorno oltre S. Bona, c/o la famiglia Biscaro, dove la signora era sorella di Reginato, rimasto per molti anni, pur finita la guerra, prigioniero in Russia. Il 7 aprile vidi, da pochi chilometri da Treviso, il pesante bombardamento della città. Leggo ora che l’evento fu uno dei più tragici della 2° guerra mondiale: 159 bombardieri facevano piovere bombe voluminose. Il fumo si elevava altissimo nel cielo vs. le ore 13. Eravamo preoccupati per i nonni rimasti in villa in Viale Cairoli, per fortuna non colpita, ma per meno di 100 metri. Di fatto, il bombardamento iniziò a Sud/Est della stazione ferroviaria, che poi rimase distrutta, proseguì in direzione delle Poste centrali anch’esse in gran parte distrutte, abbatté tutta la zona intorno all’attuale Piazza Pio X ma in un vasto raggio che comprendeva alche il Palazzo dei Trecento, rimasto non rimesso in pristino per molti anni. Poi proseguì in direzione Nord/Nord Ovest vs. le prigioni, distruggendo tutte le villette che costeggiavano la via Monfenera. Ricordo scene che oggi si vedono in Ukraina o a Gaza. Villette distrutte, crateri enormi.
La villa dei nonni fu sequestrata dalle Poste, e a guerra finita necessitò un restauro radicale. Allora, con genitori, fratello e nonni ci trasferimmo a Selva del Montello, dove il nonno aveva una campagna, non lontana da Volpago dove ancora vi è una chiesetta, vicina ad una rotonda stradale, dove frequentai la 1° elementare in una classe ridotta e che raggruppava alunni di tutte le elementari, dalla 1° alla 5°. Non era certo un ambiente dove poter imparare molto!
La casa che ci ospitava era molto articolata. Per accedervi si doveva percorrere un lungo sentiero tra i campi. Vi era una piccola parte padronale, con anche una chiesetta sconsacrata adibita a magazzino, ma dotata di una campana. Davanti vi era un altissimo pino, dove si alternavano in vedetta giovani contadini anche di famiglie vicine. Due volte arrivarono le brigate di Salò alla ricerca di renitenti alla leva, ma la vedetta faceva in tempo ad avvisare: suonava la campana e i giovani potevano disperdersi nei campi. Era terrificante vedere circondare la casa dalle squadre della RSI, chiuderci dentro con le imposte chiuse. Mio nonno aveva un’automobile, una FIAT 1100, già prima sequestrata dai fascisti, e resa distrutta nel dopoguerra. Peggio ancora, fu inserito nella lista degli ostaggi. Si sa cosa implicasse. Valeva la regola del tedesco o repubblichino ucciso con 10 italiani/ostaggi fucilati. Per fortuna, tra i suoi clienti di avvocato, aveva un industriale austriaco, Krüll, che è riuscito a farlo togliere dalla lista.
Comunque, quanto a fucilazioni, non scherzavano. Eravamo a pochi metri dal Canale della Vittoria, a oltre 300 metri dalla ns. casa i fascisti di notte venivano ad eseguire delle fucilazioni. Mio padre la mattina andava a rendersi conto di quanto era successo. Una volta ha trovato un ferito, lo ha caricato su un carro agricolo, coprendolo di paglia, portandolo fino all’ospedale di Montebelluna. Rischio grosso, ma aveva contatti con comandanti partigiani della zona e con medici ex colleghi militari.
Sono cresciuto molto con mio nonno Gustavo Visentini. Avvocato a Treviso, aveva una clientela buona. Ricordo i conti di Collalto, Marsoni industriale della carta. Krüll già citato. Non avendo preso la tessera del fascio perse la TELVE, allora la compagnia telefonica delle Tre-Venezie. Mi raccontava come tre volte le squadracce avessero messo a soqquadro il suo studio in via Cornarotta, gettando dalla finestra fascicoli e macchine da scrivere. Evitava di essere bastonato e malmenato perché un poliziotto amico riusciva ad avvisarlo in modo da non farsi trovare.
Ho recentemente trovato riscontro di uno di questi episodi in uno scritto di Gaetano Salvemini – Scritti sul fascismo – nei quali si legge in un capitolo titolato Il progrom del 2026: A Treviso, i fascisti distrussero i locali del chimico Fanoli, gli studio degli avvocati Grollo e Visentini, l’officina industriale dei fratelli Ronfini e la clinica del dottor Bergamo, deputato al Parlamento. Arturo Fanoli era il titolare della farmacia in P.za Duomo, amico di mio nonno e tra i miei nomi di battesimo io annovero anche Arturo, Grollo anche era amico, frequentava casa nostra ma non era avvocato, bensì chirurgo e titolare di una clinica fuori Porta S. Tomaso, Bergamo aveva una clinica a Montebelluna, repubblicano storico.
I repubblicani allora godevano di una certa consistenza allora nel trevigiano tanto da essere bersaglio di un grave episodio, un attacco armato di un migliaio di fascisti alla sede in via Manin, che ospitava anche il loro giornale La Riscossa. Il direttore era Mario Razzini, il quale nel 2° dopoguerra mi raccontava l’episodio, così anche la Signora Azzoni che faceva la segretaria nella sede del PRI in via Indipendenza, vedova di Azzini rimasto gravemente ferito in quell’episodio, ora ricordato in un volume dal titolo Squadristi veneti all’assalto di Treviso, 12 – 14 luglio 1921, ISTRESCO 2021. Un migliaio di fascisti, armati anche di fucili e pistole, provenienti da tutto il Veneto e guidati dal veneziano Pietro Marsich, dopo esseri raggruppati a la Frescada sul Terraglio alle porte di Treviso, si diressero e distrussero prima la sede dei Popolari in Piazza Filodrammatici, poi si diressero in via Manin e ingaggiarono una vera battaglia a fuoco coi repubblicani. Poi si diressero vs. Conegliano per colpire il giornale il Piave.
Sono episodi certamente minori, ma che è peccato vadano dimenticati perché dimostrano anche il coraggio, la resistenza ante litteram di minoranze che si opposero all’ondata che favorì l’affermarsi del regime.
Aggiungo un ultimo ricordo: nel 1936 mio zio Bruno Visentini assieme all’avvocato Alberto Boscolo andarono a Roma con un a Lancia Augusta. Prelevarono Emilio Sereni, poi Senatore PCI, lo portarono con la famiglia a Milano, da dove altri lo condussero in Svizzera. Il regista dell’operazione dicono fosse Eugenio Colorni.
Per finire coi ricordi: prima di laurearmi ho fatto l’assistente o il portaborse di Toto Tessari, consigliere comunale del PRI e preside del liceo scientifico. Era stato comandante partigiano, di Giustizi e Libertà. Mi raccontava dei diversi orientamenti delle brigate partigiane. GL era contraria agli attentati che poi causavano la condanna a morte di 10 italiani per ogni nazi-fascista ucciso, come invece facevano i GAP (Gruppi di Azione Proletaria). E una conferma mi è venuta dallo zio Bruno Visentini quanto all’attentato di via Rasella. GL, Parri, il Partito d’Azione erano contrari a questo tipo di attentati. Non è vero che su trattava di una banda di anziani musicanti altoatesini, come ha sostenuto il camerata (come lo chiama Renzi) Ignazio La Russa, ma le stragi potevano essere evitate.
Immagine di copertina © Rai Cultura