COSTUME & MALCOSTUME La coperta di Linus e la sindrome dell’accumulazione domestica
26 Ottobre 2024Il posto del lavoro. Conversazione con il professor Daniele Marini.
28 Ottobre 2024Da uno studio ISTAT di quest’anno, è risultato come quasi un milione di persone abbiano rinunciato, in un anno, a presentare domanda di accesso alla giustizia civile (parliamo, naturalmente, di sola giustizia civile perché alla giustizia penale non accedi per scelta, perché è lei che “bussa alla tua porta”, volente o nolente).
Dicevamo, da detto studio risulta appunto che un numero elevatissimo di persone abbia dichiarato di aver evitato di azionare davanti agli organi preposti le proprie istanze giudiziarie, quanto al 21,5% per un bilanciamento costi-benefici (evidentemente a saldo negativo); quanto al 17,5% per la durata eccessiva dei procedimenti; quanto al 10,8% per la complessità e farraginosità delle procedure; quanto al 10,1% per l’incertezza del risultato; quanto ad altro 10,1% ritenendo di poter risolvere in proprio la controversia; quanto all’8,6% per scarsa possibilità economica.
La buona notizia è che un milione di avvocati ha effettivamente dato ai propri clienti un buon consiglio, e cioè di star lontani dai Tribunali – come chi scrive, pur operando nel settore e traendone guadagno, è profondamente convinta si debba fare – ma sul punto tornerò poi.
Ciò che interessa ora è procedere ad una ricognizione ragionata delle cause che, secondo lo studio in esame, hanno indotto questo milione di italiani a non intraprendere un’azione civile; ricognizione che a mio avviso dovrebbe partire dal basso, esaminando quelle cause in una prospettiva verticale.
Sorprenderà, dunque, che, al fondo di questa classifica si collochi il dato meno atteso, dal quale ci si sarebbe aspettata una prestazione da podio: la mancanza di risorse economiche. Questo viene dedotto come ultima delle ragioni, pur essendo l’accesso alla giustizia civile (salvo i casi di patrocinio a spese dello stato, per redditi inferiori a circa euro 12mila l’anno) effettivamente molto costosa. Molto costosa anche alla luce del previo obbligo di esperire la mediazione, come condizione di procedibilità di molte azioni, e con un costo non irrisorio.
Ma torniamo a noi: non è il solo costo quello che maggiormente scoraggia.
L’ultimo posto di questa ragione del “mancato accesso alla giustizia” si pone però in simmetrica antitesi con la “causa” saldamente ancorata alla pole position, vale a dire la constatata sproporzione tra costi e ricavi.
Anche in questo dato la questione economica rileva, ma sembra, il dato così letto, descrivere più che altro la frizione tra aspettative e mezzi in un contesto di scarsa sostenibilità, nel quale, sempre secondo l’ISTAT, oltre che le risorse economiche, anche il tempo da investire gioca la sua parte.
Parrebbe emergere un quadro nel quale domina la sfiducia nel sistema giudiziario: devo investire delle risorse importanti, che sarei anche astrattamente disposto ad investire, ma se bilancio questo costo con i benefici che mi attendo, la bilancia pende per lasciar perdere.
Sfiducia nei magistrati? Non è cosi. Le statistiche dicono che la fiducia – nel settore civile dell’ordinamento – è in crescita e ha superato la soglia del 50%, a dispetto del pessimismo cronico di molti.
Se vogliamo provare a trarre qualche conclusione, sia pure approssimativa, dobbiamo dunque aggregare i dati disponibili – puntualmente elencati dallo studio e sopra riportati – e sintetizzarli in un solo concetto: EFFICACIA.
Molte persone rinunciano ad agire in giudizio perché il sistema non è efficace, offre risultati incerti, con un costo elevato (qui primo e ultimo posto ricongiungono i loro effetti in una lettura combinata) e soprattutto li offre in un arco di tempo spesso inaccettabile.
Avrò la soluzione quando probabilmente la questione non mi interesserà più, o avrà perso di significato, e la avrò avuta ad un costo per il quale, probabilmente, anche se avrò avuto ragione, la mia ragione ben che vada sarà dimezzata, decapitata. Oltre ad avermi tenuto sospeso e in ambasce per anni.
In altre parole, il “costo” complessivo della vicenda, il costo percepito dalla persona, rispetto al risultato atteso, non è sostenibile.
Questa è peraltro anche la sensazione di noi operatori del diritto – di quelli seri, almeno.
Quasi sempre, il consiglio è di cercare vie non giudiziarie, fin dove possibile: conciliazioni, negoziazioni, mediazioni anche nelle materie non obbligatorie, financo arbitrati (cioè giustizia privata in ambiti specifici in organismi riconosciuti, un po’ come far la visita medica privatamente e a pagamento, per intenderci).
Solo quando tutto questo fallisce, valutare se la questione merita di essere portata in Tribunale.
E lo merita o se si tratta di diritti, chiamiamoli così, incomprimibili: l’affido di un figlio, un licenziamento ingiustificato, tanto per fare degli esempi.
O se la questione riveste un carattere di rilievo economico di entità importante: la divisione di una eredità, un credito importante (per intenderci, recuperare un credito sotto gli euro 7.000 a mio avviso è sconsigliabile perché il più delle volte può risultare antieconomico).
Quel che la nostra politica, però, dovrebbe chiedersi è: è giusto?
Mi spiego: lungi da me e lungi da ogni Collega consigliare liti frivole o alimentare dissidi ingiustificati o pretestuosi; ma è accettabile, in uno Stato di Diritto, che se ho ragioni da reclamare, ragioni serie, che reputo fondate e che comunque impattano sulla mia vita, io non possa accedere alla Giustizia, o ne sia talmente scoraggiato da abdicare a chiedere allo Stato quella che sarebbe una delle sue massime funzioni, e cioè proprio l’Amministrazione della Giustizia?
A me pare che la risposta sia decisamente no.
Altrimenti, daremmo ragione a quel 10,1% del campione dello studio che dichiara che risolverà la questione “diversamente”, arrangiandosi. Come, però , non è dato sapere. E soprattutto è un come, rischia di farci vedere poi aumentare gli accessi dei cittadini alla Giustizia penale, ma dall’altro lato della ragione.