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26 Gennaio 2025Il wishful thinking di chi sosteneva che le sparate elettorali di Donald Trump si sarebbero attenuate nel momento in cui fosse diventato Presidente, sembra davvero poco fondato dopo il discorso pronunciato alla solenne cerimonia d’inizio mandato. Lo abbiamo seguito tutti, o comunque in molti. Fasso tuto mi, detto alla veneta, comando mi, non solo a casa sua ma nel mondo, o in quella parte del mondo dove l’influenza americana può arrivare. Trump sta superando ogni limite di decenza, minacciando d’impadronirsi del canale di Panama, del golfo del Messico (non è solo una questione di nome se lo ha definito golfo d’America); e fortunatamente non ha ripetuto nel discorso d’insediamento quanto aveva minacciato a proposito della Groenlandia e persino sul Canada. Eppure, ha riconquistato il potere con un successo elettorale netto, fondato su problemi (veri o ingigantiti) come l’inflazione e la percezione di perdita di potere d’acquisto delle classi medie e basse legate alla crescente reazione al fenomeno immigrazione.
Gli USA non sono più quelli in cui un Presidente come Eisenhower denunciava la lobby militare-industriale. Sono stati sempre attenti e gelosi quanto alle aree che considerano strategiche per loro. Ricordo come il Segretario di Stato Henry Kissinger avesse supportato il dittatore Pinochet in Cile! Vi sono da tempo tre oligarchie che condizionano i governi USA e determinano coi loro quattrini la elezione dei rappresentanti politici: il citato complesso militare-industriale, l’industria mineraria che estrae petrolio e gas, e il complesso bancario e immobiliare. Almeno dai tempi di Richard Nixon, queste tre lobby hanno influenzato la politica americana, ma in misura diversa. Oggi se ne aggiunge un’altra forse ancora più potente, quella delle nuove tecnologie, costituita da maga-aziende come Google, Facebook, Microsoft, Apple, Amazon, che vanno dalla telematica all’intelligenza artificiale e che non solo sono in grado di condizionare le scelte politiche ma offrono strumenti strategici che condizionano il futuro del paese e del mondo. Non parlo di Elon Mask perché è sotto gli occhi di tutti, soprattutto con la sua rete di satelliti, il potere di dare o interrompere le comunicazioni, il ruolo che ha nello staff del Presidente Trump e l’abitudine oramai praticata con X (ex Twitter) di intervenire negli affari interni di vari paesi come è accaduto in U.K., in Germania e in altri.
Se è sempre stato difficile a chi si candida, specie in un paese grande come gli USA, rinunziare ai finanziamenti dei diversi gruppi d’interesse, ora chi ha il monopolio delle nuove tecnologie ha un’arma più potente per condizionare le scelte post elezione.
L’impatto economico su un’Europa già caratterizzata da crisi, prevalentemente politica quella francese, economica quella tedesca, rischia di essere assai pesante. L’Italia, oltre alla situazione geopolitica generale negativa per tutta l’Europa, soffre particolarmente dal lato dei costi dell’energia che sono peraltro determinati da un criterio folle di determinazione dei prezzi che si parametrano esclusivamente su quello del gas nonostante la consistente percentuale di energia da rinnovabili (garantendo così margini ingiustificati ai produttori di energia green). Situazione drammatica, vera minaccia per il futuro manifatturiero del nostro Paese di cui, pare, la maggior parte delle forze politiche sembra disinteressarsi (il solo Calenda, di Azione, ha posto il problema in termini concreti e propositivi). Ma, più in generale, abbiamo un’economia molto basata sull’export: alimentare (soprattutto verso gli USA), più moda di fascia alta e subfornitura nel settore automotive verso la Germania. Noi siamo deboli, ma lo è tutta l’Europa priva di istituzioni governative unitarie che possano gestire una politica estera e di difesa comuni, e finora appiattita sugli USA. Il ricatto possibile di Trump, o comprate il gas e il petrolio da me o io vi penalizzo coi dazi è una spada di Damocle pendente sulle nostre teste.
Una conferma sia dell’aggressività di Trump che della rapidità della reazione del mondo imprenditoriale è emersa dall’intervento di Trump a Davos del 24 gennaio, avvenuto in via telematica: venite a produrre in USA, avrete vantaggi fiscali, solo imposte al 15% massimo. Altrimenti sarete penalizzati dai dazi. E questo, quanto all’automotive, senza i vincoli dell’elettrico.
Avremo così la corsa dei nostri produttori europei, come VW e Stellantis per citarne i maggiori, a costruire fabbriche in USA. Non a caso infatti Elkan il giorno prima della cerimonia d’insediamento del Presidente era a colloquio da lui promettendo grossi investimenti Stellantis: riapertura dello stabilimento Belvedere in Illinois nel 2027, con nuovi 1.500 posti di lavoro, per la produzione di un nuovo pick-up di medie dimensioni, a Detroit per produrre la prossima generazione del Dodge Durango, altri investimenti negli impianti di Toledo, Ohio, per migliorare la produzione dei modelli Jeep Wrangler e Jeep Gladiator, e a KOKOMO, indiana, per la produzione del motore GME-T4 EVO, in Michigan con 400 milioni di dollari in tre impianti per supportare la produzione di veicoli elettrici e ibridi, la conversione dello stabilimento di Sterling Heights per produrre il Ram 1500 completamente elettrico, mentre l’impianto di Warren Truck sarà aggiornato per la produzione di una versione elettrificata della Jeep Wagoneers.
Le conseguenze per l’Europa sono evidenti: non produrremo più auto se rimarrà ferma la direttiva sull’auto elettrica, le relative penalizzazioni e il limite del 2035, lasciando il nostro mercato europeo soprattutto in mano ai cinesi che già hanno raggiunto alti livelli di produttività proprio sull’auto elettrica.
Ma tutto quanto precede è stato oggetto di tanti approfondimenti in questi giorni e non vado oltre. Credo altresì sia interessante vedere come gli italiani percepiscono l’avvento di Trump. Radio 24 il 21 gennaio, nella trasmissione Melog, ha fatto un sondaggio interessante chiedendo agli ascoltatori di esprimere accordo o disaccordo sulle tre domande sotto:
1. Trump è un evento positivo: finalmente metterà ordine nel mondo
2. Trump è un grande pericolo per noi italiani e/o europei
3. Di fatto cambierà poco, la politica americana sarà segnata dalla continuità
Ebbene, sorprendentemente (almeno per chi scrive) si è verificato un notevole equilibrio tra le risposte: la prima e l’ultima affermazione hanno avuto rispettivamente il 30% di risposte, la seconda il 40%.
Stupisce in particolare che solo il 30% veda nell’avvento di Trump una minaccia, nonostante i mille e più motivi che, a un osservatore di buon senso, appaiono palesi. Ma non solo: nelle motivazioni a spiegare le ragioni della 2° risposta, nessuno ha fatto cenno all’impatto sull’economia, non ai dazi o ai costi dell’energia. E si trattava di un campione in qualche modo selezionato: Radio 24 è organo del Sole 24 Ore e di Confindustria quindi ha un’audience meno generica di altri media e che in teoria almeno parrebbe dover avere più sensibilità ai temi economici. È stato un test che può essere discutibile sia per il campione che ha partecipato, sia per la selezione delle risposte mandate in onda dalla redazione. Ma a me pare comunque di qualche significato, anche perché il 30% della prima domanda coincide più o meno con la percentuale di consensi dell’attuale governo.
Potrebbe essere una indicazione per il modo di comunicare dei nostri politici. E certamente non è un segnale rassicurante per il futuro del nostro continente.