RIGENERAZIONE URBANA Gentrification, un processo controverso
5 Gennaio 2024CONO DI LUCE Paesaggi di guerra, paesaggi di pace con Paolo Malaguti
14 Gennaio 2024Prendo lo spunto dall’assunto di F. Cundari per dire che lei sarebbe bravissima, se non fosse per il cognato, per il padre di sua figlia, per le persone che ha scelto come ministri, viceministri o sottosegretari (tra cui il suddetto cognato o quello che organizza i “botti di fine Anno” con i colpi in canna), per quelle che ha messo alla guida del partito (tra le quali la sorella), per non parlare di quello che ha indicato per la guida del Senato – suo padrino politico e cofondatore, con lei, di Fratelli d’Italia e per tutte quelle altre che esternano a capocchia.
Quando si dice: essere perseguitati dalla sfortuna.
L’idea che lei sia una statista circondata da pasticcioni non regge, innanzitutto per l’ovvia constatazione che il ministro che ferma un Frecciarossa a Ciampino perché è in ritardo e nemmeno si scusa ma rivendica con sfacciataggine la scelta è la dimostrazione che lui (e lei) pensa che le Istituzioni siano sue.
Quello che pian piano emerge anche sui quotidiani del cosiddetto establishment (Corriere della Sera su tutti) è proprio un dubbio sulla tenuta e sulla capacità di direzione politica della stessa Meloni.
Più un’influencer che una statista.
Acrobazie, furbate, contraddizioni. La conferenza stampa di fine anno, diventata di inizio anno per insindacabili problemi di salute, è stata una zuppa di questi ingredienti, condita dalla bugia di non avere mai chiesto, nella sua ex vita di oppositrice, dimissioni di questo o quell’avversario politico. Matteo Renzi fra tutti ricorda bene la pressione giustizialista della destra diventata oggi improvvisamente garantista.
I temi economici sono stati forse quelli su cui, in quella conferenza stampa, ci sono stati più errori e mistificazioni.
Tra le altre cose ha detto che per quest’anno «la crescita italiana è stimata comunque, e questo è un dato secondo me buono, superiore alla media europea»: è falso. Le ultime analisi della Commissione Europea, diffuse a metà novembre, stimavano una crescita media nell’Unione Europea dell’1,3% per il 2024. Nelle stesse proiezioni, la Commissione prevedeva una crescita del prodotto interno lordo (PIL) italiano pari allo 0,9%: dunque quasi mezzo punto percentuale in meno rispetto alla media europea.
Rivendica di non avere alzato le tasse, e allora l’Iva sui pannolini e le accise sulla benzina?
Ha tolto i fondi al Centro studi fondato da Rita Levi Montalcini per destinarne il doppio alla segreteria del ministro (quello del Frecciarossa, suo cognato).
«Abbiamo diminuito le tasse tagliando la spesa pubblica». Non è così.
La diminuzione delle tasse decisa dal Governo è per lo più dovuta alla conferma per il 2024 del taglio del cuneo fiscale e contributivo, cioè a una riduzione delle imposte e dei contributi che si applicano sugli stipendi dei lavoratori.
Il taglio del cuneo fiscale, che nel complesso vale poco più di 10 miliardi, è semmai finanziato in deficit, cioè ricorrendo a un maggiore indebitamento nel bilancio dello Stato rispetto alle previsioni per il 2024. E per gli anni a venire è tutto da finanziare: non è una misura strutturale.
Il governo ha fatto anche altri tagli legati all’IRPEF che però vengono compensati dagli aumenti di altre tasse e dalla soppressione di alcuni sostanziosi incentivi per le imprese. Che cominciano ad accorgersi della inadeguatezza dei provvedimenti meloniani.
Secondo le previsioni del ministero dell’Economia e delle Finanze, in termini assoluti nel 2024 la spesa pubblica dovrebbe aumentare di oltre 15 miliardi di euro rispetto al 2023, passando da 880 a 895 miliardi.
Si alzano solo voci filogovernative variamente distribuite nei dibattiti che ne esaltano le capacità, le doti e si fanno belle dei pochi risultati derivanti da disposizioni assunte in altre epoche governative (fatturazione elettronica=calo dell’evasione IVA).
I numeri sono quelli scritti nelle relazioni ufficiali sia in sede europea che in sede di M(inistero)E(conomia)F(inanze) che è il braccio armato del Governo!
Sono capaci di smentire sé stessi, solo cambiando la giacca.
Nega di essere stata contro l’Euro, invece ci sono i video a smentirla. Aveva promesso di bloccare gli sbarchi e invece sono aumentati del 50%. E “l’emergenza immigrazione”, agitata come una clava fino a settembre 2022, è passata bellamente in secondo, direi meglio in terzo piano.
Non gliene frega niente dell’Europa. È solo un gigantesco sondaggio sulla sua popolarità. Tre ore di conferenza stampa e non una frase sull’esercito europeo o sul posizionamento dell’Europa nello scenario mondiale in un momento di tensioni crescenti.
Nessun accenno al progetto degli Stati Uniti d’Europa: silenzio totale.
Previsione (la vinco facile): per sei mesi “Giorgia” farà l’influencer in campagna elettorale, poi sarà tempo di una manovra correttiva da venti miliardi e di un rimpasto.
Perché il difetto sta nel manico: Fratelli d’Italia non ha fatto altro che inseguire il modello populista inaugurato in Italia dal Movimento 5 stelle e già ricopiato pari-pari dalla Lega di Matteo Salvini. Partiti e movimenti tutti e tre – al di là dei successivi compromessi, annacquamenti e giravolte – nati orgogliosamente no euro, no vax, sovranisti e filoputiniani.
Ma soprattutto, ovviamente, populisti, cioè per definizione ostili all’idea stessa di classe dirigente (espressione peraltro discutibilissima, ma ora non è il caso di farla troppo complicata)
Lo stesso Movimento 5 stelle, tuttavia, non è nato dal nulla. Al contrario.
Almeno dai primi anni Novanta, sull’onda di Mani pulite, da destra e da sinistra, dai grandi giornali e dai grandi intellettuali è venuta una campagna martellante contro i partiti e i professionisti della politica.
Il movimento fondato da Beppe Grillo nel 2007 non era altro che la realizzazione pratica più coerente dell’utopia immaginata da tanti illustri giornalisti e pensatori – in particolare all’interno del gruppo Repubblica – di un paese governato direttamente dalla «società civile».
Una visione del mondo che proprio in quel 2007 sfociava (questa volta sul Corriere della sera) nella campagna contro «la casta»: Stella e Rizzo pubblicano un libro di grande successo con quel titolo.
E in questo contesto di populismo cogente più che latente, in una situazione mondiale di gravi e drammatiche tensioni oltre che di guerre che ci piace chiamare “locali” solo per esorcizzarne la possibile deflagrazione a livelli più alti, un dato deve essere sottolineato con estrema urgenza: l’assenza del soggetto Europa è di drammatica evidenza.
Per mancanza di dimensione geopolitica, il maggior mercato del mondo, l’Europa, si trova a subire l’urto degli eventi e reagisce in ordine sparso con modeste capacità di incidenza.
Due cose dovrebbero angustiare tutti noi, in particolare tutti coloro che si sentono profondamente europei: l’urgenza di completare con la dimensione politica la costruzione europea e la necessità di difendere i nostri sistemi democratici, attaccati da più parti. Senza una grande presa di coscienza su questi due essenziali sfide e sulle conseguenti azioni per poterle affrontare, saremo fatalmente condannati dalla storia.
O l’Europa fa l’Europa, oppure continua a vivere questa lacerante contraddizione: essere gigante economico e nano politico.
Da qualche giorno è cominciato il semestre di presidenza italiana alla guida del G7: riuscirà il nostro Governo a contribuire alla formazione di una visione europea nell’affrontare fra gli altri (Ucraina, Medio Oriente) anche lo spinoso e impellente dossier Mar Rosso? Tradotto: attacchi degli Houthi nel Mar Rosso, cosa si rischia se si strozza “l’aorta” del commercio mondiale.
Certo le amicizie dei nostri governanti con i leader sovranisti sparsi per l’Europa non aiutano ad essere credibili e ascoltati.
Volete perciò pensare che questi problemi saranno risolti lasciandoli nelle mani dell’influencer in chief?