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11 Marzo 2024A Venezia, come peraltro in gran parte d’Italia, non si fa più urbanistica. Questa è, a mio avviso, una delle cause del degrado materiale e culturale verso cui procede rapidamente la città.
L’urbanistica è oggetto di molte definizioni alcune delle quali riescono a dare un’idea di cosa significhi fare urbanistica e quali siano scopi e natura di questa disciplina. Senza volere qui tentare nuove definizioni possiamo convenire che l’urbanistica è una attività volta a progettare e governare le strategie e le modalità di sviluppo di un organismo urbano e del suo territorio di riferimento avvalendosi del contributo di una pluralità di discipline e del concorso di molti e diversi attori: politici, economici culturali e sociali.
Possiamo anche convenire che i risultati di questa attività sono volti a garantire gli interessi dell’intera collettività: nessuna attività svolta da una amministrazione ha paragonabili caratteri di universalità e per questo forse altrettanta necessità di trasparenza e di un’etica forte nella sua conduzione.
La procedura di approvazione degli strumenti urbanistici, che comprende la pubblicazione degli atti e l’osservazione da parte di tutti i cittadini, a cui è obbligatorio rispondere prima della definitiva approvazione, è la più chiara assunzione e la conferma per legge di queste caratteristiche.
Questi sono anche i motivi che rendono la realizzazione delle politiche urbanistiche una attività complessa e spesso conflittuale che diventa a volte oggetto di aspri dibattiti che coinvolgono la comunità cittadina e che deve necessariamente sfociare in scelte trasparenti e condivise: nella consapevolezza che tali scelte possono essere continuamente verificate e sottoposte a modifica o a revoca.
E’ più o meno questo che è accaduto anche nella nostra città negli anni in cui “si faceva urbanistica”, venivano cioè elaborati quei piani – strategici, regolatori e attuativi – che, bene o male conformano ancora oggi le trasformazioni possibili a Venezia, pur in presenza di tentativi di pesanti stravolgimenti fortunatamente spesso abortiti, e pur in mancanza di adeguati aggiornamenti per l’indebolimento progressivo di questo tipo di attività: aggiornamenti che sarebbero stati necessari soprattutto e seguito dell’esplosione del fenomeno turistico (da nove milioni alla fine del secolo scorso a trenta milioni di presenze oggi) e delle tre grandi crisi dei nostri tempi: quella economica strutturale avviata nel 2008, quella sanitaria, economica e culturale, determinata dalla pandemia di covid, quella morale, economica, ambientale causata dalle guerre in corso..
Oggi a cose drasticamente cambiate, è arrivato alle estreme conseguenze il processo di distruzione di un corretto modo di fare urbanistica, processo avviato da qualche anno, da quando cioè a procedure trasparenti e condivise si sono sostituiti accordi opachi o estemporanei.
La storia delle più o meno recenti “scelte” urbanistiche veneziane sta a dimostrarlo: dall’invenzione, vera e propria truffa mediatica, del mega vaso da fiori di Cardin, ridicolo esteticamente, insostenibile economicamente e distruttivo dal punto di vista urbanistico; ai tentativi di spostare le centralità urbane con le varie cittadelle di Tessera; ai tentativi di lottizzazioni speculative ai Pili dove i piani prevedono verde e servizi pubblici; al nuovo garage a piazzale Roma, scandalo silenzioso, che distorce profondamente il disegno di mobilità discusso, approvato e vigente per legge, che impone di bloccare il traffico improprio ai terminal di Fusina e Tessera e di mitigare i pesi di traffico su piazzale Roma; ai compound per turisti low cost della stazione di Mestre e del Tronchetto, e così via.
Tutte scelte queste fatte o tentate attraverso decisioni contrattate al di fuori di qualsiasi serio dibattito urbanistico e di qualsiasi considerazione degli effetti complessivi sugli assetti urbani, insomma al di fuori di qualsiasi decente procedura urbanistica.
L’indebolirsi, fino alla sostanziale pratica scomparsa, dei partiti e delle organizzazioni politiche e della dialettica che queste garantivano, e il progressivo venir meno di un vero dibattito allargato ai diversi strati della società veneziana sui destini di Venezia, per l’affievolirsi del corpo sociale stesso della città, l’eliminazione del ruolo delle Municipalità che garantivano in qualche misura la conoscenza critica delle scelte amministrative, hanno costituito segnali e cause di di tale processo.
Qui bisognerebbe aprire una lunga parentesi o rimandare ad analisi più approfondite.
Infine, dopo il crollo per i noti imbarazzanti motivi dell’ultima giunta di centro sinistra, è subentrata una giunta priva di qualsiasi programma organico sulla città, che ha eliminato la riflessione urbanistica dai suoi orizzonti, sostituita da una visione puramente mercantilistica dell’uso del territorio e delle trasformazioni urbane.
In questo modo diventa possibile ad affermazioni di principio condivisibili fare seguire una pratica del tutto contraria. Due esempi: alle affermazioni sulla necessità di contenere il turismo (vedi tornelli e biglietto di ingresso) corrisponde la realizzazione di caserme per pendolari (circa due milioni all’anno di pendolari su Venezia in più) senza nessuna qualità né urbana né architettonica alla stazione di Mestre, e al Tronchetto, battezzata “riqualificazione urbana”; alla ribadita necessità di favorire la residenzialità permanente a Venezia non corrisponde alcun provvedimento, pur essendoci le possibilità giuridiche, volto a contenere l’espansione dell’uso turistico degli alloggi, vero e proprio cancro che sta distruggendo il corpo della città, sia di acqua che di terra. Ma tutta la cosiddetta attività urbanistica degli ultimi quindici anni è costellata di scelte o non scelte di questo genere: in vasti comparti urbani, dalle aree ex ACTV a S.Elena, alla Caserma Sanguinetti a S.Pietro di Castello, alle aree Italgas, dove erano previsti e progettati insediamenti di social housing, grandi agenzie immobiliari stanno progettando insediamenti turistici. Mi fermo qui.
Accenno appena, perché il discorso diventerebbe lungo e troppo specialistico, al fatto che questa situazione ha lontane origini che risiedono nelle riforme della legislazione urbanistica fatta da tutte le regioni italiane a partire dalla fine del secolo scorso: riforme che hanno complicato in modo assurdo le procedure e hanno di fatto distrutto l’operatività urbanistica italiana trasformandola da disegno generale sulle strategie urbane condivise, a somma disarticolata di scelte puntuali. Con queste leggi le diverse amministrazioni che si sono succedute hanno dovuto fare i conti.
Il risultato, per tornare a noi è che a Venezia le scelte sul territorio non vengono più fatte sulla base di una visione condivisa della città e sulle strategie e azioni da mettere in campo per conseguirla, ma sulla base delle proposte di vari soggetti privati, ognuno dei quali non può che avere legittimamente di mira il proprio personale interesse.
La procedura con cui è stato elaborato il Piano degli interventi costruito sulle proposte dei cittadini da considerare più o meno o meritevoli di accettazione, va esattamente in questa direzione.
È a questo punto inutile sottolineare come la cultura urbanistica imperante oggi in città, sia completamente e beatamente all’oscuro di tutto quanto si ragiona intorno alle vere ragioni dell’autentica crisi delle esperienze di governo del territorio degli ultimi anni. Di quali siano le ricadute sulle città, e anche sulla nostra, del periodo di prolungata stagnazione che attraversa il Paese. Del fatto di trovarci entro un ciclo urbano di lungo periodo a bassa intensità. Di quali politiche possano essere messe in campo a livello generale e nello specifico veneziano per affrontare queste ed altre tematiche.
Ed è soprattutto sideralmente lontana da quanto si va dicendo sul nuovo ruolo delle città nell’epoca post covid e dell’irrompere delle ultime crisi internazionali, e sulla necessità di modificare strutturalmente le strategie economiche e culturali di Venezia seguite alla fine di un modello di sviluppo tutto incentrato sul turismo.
Concludendo.
La ripresa di una corretta pratica urbanistica nella nostra città passa da molti fattori: culturali, disciplinari, metodologici, politici e così via.
Certamente passa anche dall’aver ben chiare alcune specificità della città che debbono e possono essere utilizzate come leve potenti per impedire che Venezia venga travolta, come sta accadendo, dagli effetti perversi di una globalizzazione in crisi, e che anzi da questa possa trarre i vantaggi che il suo ruolo internazionale, storico e attuale, può procurargli.
Le specificità di cui parliamo sono l’eccellenza del suo patrimonio e le potenzialità degli assetti culturali che la città è in grado di generare; il suo sistema ambientale e la secolare capacità di Venezia di gestire gli equilibri ambientali; l’enorme attrattività turistica che significa avere un ruolo preminente all’interno del settore economico in maggiore espansione nel mondo.
Intorno alle politiche che la città saprà costruire su questi temi si gioca il futuro della città e vanno costruite le strategie urbane conseguenti.