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18 Aprile 2025La Corte Costituzionale ha posto la pietra tombale sulla possibilità di superare i due mandati di Presidente di Regione a statuto ordinario, quelle autonome potendo decidere come credono (ed è una difformità insensata) sancendo che il limite previsto dalla legge deve rimanere tale.
Non entro nelle tecnicalità dell’aspetto legislativo (su cui forse Vincenzo de Luca ha qualche ragione) per mia incompetenza e perché comunque noiose. Interessa invece il merito e, nel merito, è un’ottima notizia. Per la stessa ratio che ha guidato il legislatore quando ha previsto questa limitazione: Sindaci e Presidenti di Regione sono organi monocratici a elezione diretta che accentrano un grande potere nella persona fisica. Questo significa che, fisiologicamente, nel corso del loro mandato creano rapporti di contiguità, di interesse, di collaborazione con soggetti privati che, ancorché perfettamente leciti, configurano una situazione di potenziale soggezione e dipendenza da parte degli stessi soggetti. Questo anche nell’ipotesi che il Governatore o Sindaco sia una persona assolutamente cristallina. Per non parlare delle inevitabili situazioni grigie in cui entrano in campo non solo questioni di legittimità ma semplicemente di opportunità.. Quindi, in base al saggio precetto che “prevenire è meglio che curare”, molto meglio porre un limite invalicabile al mantenimento della stessa posizione oltre un certo tempo. E due mandati sembrano un termine congruo.
Io credo che quanto sopra sia intimamente condiviso dai più però poi si mette di mezzo la convenienza politica e le partite a scacchi tra e all’interno dei partiti. Da qui il florilegio delle ipocrite argomentazioni di chi invoca il primato della democrazia, la sacralità del voto e denuncia il vulnus al diritto dei cittadini che si vedono limitati nel loro diritto di confermare il governatore di turno anche se questi ha un consenso enorme. Il caso Veneto è in questo senso il paradigma perfetto.
Ma anche questo argomento, pur suggestivo e di apparente buon senso, è in realtà fallace. Perché è sotteso a un aspetto essenziale dell’esercizio della democrazia: la competizione dev’essere, almeno in linea di principio, alla pari. Non per caso sono disciplinate le spese elettorali, che non devono superare una certa soglia, non è una fisima formale che in TV nel periodo caldo si garantiscano gli stessi spazi a tutti i competitori. Sono tutte misure sottese al principio che la parità di condizioni è un cardine della democrazia.
E appunto la permanenza al potere determina una posizione di vantaggio competitivo, se non altro per la notorietà che l’inevitabile esposizione sui media il mandato garantisce. È un vantaggio strutturale e oggettivo. Ma che parità di condizioni può esserci (penso ai Sindaci, ancor più che ai Governatori) se uno dei competitori ha governato per i precedenti dieci anni, ha tessuto contatti (ripeto: tutti assolutamente leciti) con le categorie, i portatori di interessi, le aziende appaltatrici, i potenziali finanziatori?
Quando dunque Luca Zaia si mostra indignato perché si prendono i veneti per idioti, quando ricorda di non essere mai stato sfiorato da provvedimenti giudiziari non coglie affatto l’essenza vera della questione. E se lo fa in buona fede, se cioè crede davvero a quanto dice, non è che questo faccia onore al suo standing di uomo politico. A proposito del quale, forse, andrebbe magari considerata una narrazione alternativa alla beatificazione del personaggio (che si è tradotta in vette stratosferiche di consenso all’ultima consultazione). Perché vero che può vantare una buona performance nella gestione Covid e più in generale nella Sanità (che in Veneto rispetto ad altre Regioni è sicuramente un benchmark), vero che in confronto al suo leader di partito appare una specie di Talleyrand (ma, come dire.. ti piace vincere facile), ma oltre questo? A parte l’essere una persona garbata, moderata e onesta, quali sono i concreti risultati che può vantare? Vogliamo parlare della battaglia sull’Autonomia, l’insensata insistenza perché il Veneto assuma funzioni che sono naturaliter competenza nazionale? Gli è mai stato chiesto conto dell’abbandono di fatto del grandioso progetto del SMFR? Vogliamo considerare che in questi anni il Veneto è diventato sempre meno competitivo, sempre in ritardo come crescita, innovazione, capacità attrattiva rispetto alle aree trainanti confinanti, Lombardia ed Emilia Romagna? Dice qualcosa che circa il 20% dei laureati in un ateneo del Veneto, ad un anno di distanza dal conseguimento del titolo, vada a lavorare in un’altra regione, per tacere di quelli che vanno all’estero (vedasi figura sotto, prodotta dalla stessa Regione Veneto)?
Dice infine qualcosa il fatto che non ha mai mosso un dito, alzato un sopracciglio per le innumerevoli uscite imbarazzanti del suo Segretario, mai formalmente non dico contestato ma nemmeno contenuto..?
Ecco, magari è giunto il momento di dire che la .. consacrazione agli altari di San Zaia forse è un tantino esagerata.
Veniamo ora alla politica politicata. Si apre la competizione per la Regione (che a cascata impatta non poco su quella per il Sindaco di Venezia). Premesso che non c’è storia e il Veneto rimarrà certamente in mano al centro destra, chiunque sia candidato, è interessante vedere che stanno combinando i contrapposti schieramenti.
Partiamo dalla forza largamente più rappresentativa dell’opposizione, ovvero il PD. Il quale è perfettamente consapevole che non c’è partita. Ma c’è modo e modo di perdere. Un modo è metterci la faccia con dignità, redigere cahiers de doléances delle criticità e candidare un rappresentante di primo piano del partito – idealmente lo stesso Segretario Regionale – che nella prossima consigliatura ricopra il ruolo di capo dell’opposizione e incalzi la maggioranza. Un altro è.. buttare la palla in tribuna. L’ideona è quella dei gazebo, per chiedere ai cittadini di indicare tre temi critici (su 10 proposti) e quindi chiedere ai cittadini di definire le priorità del programma, “un programma dal basso, con associazioni, movimenti e ora direttamente con i cittadini”. E qui sfugge che si parla non di un Comune, ma di una Regione.. un livello in cui dev’essere la politica che guida, individua i temi, le tendenze di lungo periodo, i segnali deboli e fa pianificazione strategica per il futuro. Che senso ha interrogare il passante al gazebo? Ci si aspetta forse che parli dell’esodo dei laureati, della mancanza in Veneto di un potere finanziario autonomo che faccia da catalizzatore di sviluppo? Forse che il pensionato che passa di lì parlerà di periferie competitive, di ecosistemi di imprese, di scelte infrastrutturali? Fingere di far fare il programma ai cittadini che si fermano ai gazebo, fare da notaio e collettore degli umori popolari è un vergognoso venire meno al compito della Politica (quella vera). Ma non basta: forse che questo programma dal basso verrà portato avanti da una figura autorevole e riconosciuta del gotha del partito? Manco per niente: il Segretario Regionale PD Martella si è premurato di precisare che non ci pensa neppure (a mettere la faccia in una possibile débâcle..) e ora la coalizione sta chiedendo in giro a figure esterne “pop” (il calciatore Serena, la scienziata Viola) di fare la parte dell’agnello sacrificale, ricevendone scontati rifiuti. Si finirà probabilmente su un glorioso Cincinnato 72nne come Variati. Insomma, ancora una volta, il PD ha deciso di non giocare neppure la partita e di fatto delegare la rappresentanza dell’opposizione. Uno spettacolo desolante.
Se Atene piange, Sparta non ride. Perché anche i sicuri vincitori hanno le loro grane per il dopo Zaia. Ad oggi la soluzione più probabile è che FDI ceda all’insistenza della Lega di non perdere il Veneto, per i leghisti un patrimonio identitario. Anche perché la Lega ha l’arma di ricatto di presentare una lista Zaia che verosimilmente appannerebbe (e forse qualcosa di più) la performance di FDI. Un ragionevole punto di caduta potrebbe essere un candidato leghista (in pole position il Segretario Regionale, salviniano di ferro), una sola lista riferibile alla Lega (NON dunque affiancata da una lista Zaia) e una spartizione degli assessorati che riconosca a FDI il peso corrispondente al suo consenso. Scenario verosimile, forse probabile, ma non scontato. Lo sarebbe forse se nel pacchetto ci fosse l’impegno della Lega a lasciare spazio a un FDI in Lombardia (nel 2028). Ma la Lega ha già messo le mani avanti anche per quella Regione (nel lontano ’28). Anche per questa valgono l’identità, il cuore, il popolo ecc. E a questo punto FDI, che ha il triplo dei consensi della Lega, potrebbe anche essere tentata di rovesciare il tavolo..
Come scontato, la candidatura di centrodestra in Regione impatta su quella del Comune di Venezia, sempre in una logica spartitoria. Candidato in Regione di Lega comporta candidato in Comune di FDI e viceversa. Corollario immediato: non essendo escluso che il candidato in Regione sarà di FDI, non è nemmeno escluso che a competere per Cà Farsetti sia un leghista. E qui il nome che circola è proprio quello di Zaia (anche perché, diciamolo, non si vedono altri cavalli di razza..).
Dico subito, da veneziano, che riterrei Zaia un candidato assai poco entusiasmante, perché non è connesso alla città, né, in questi 15 anni di regno, ha oggettivamente mostrato di averla particolarmente a cuore. Non ha mai dato l’impressione di preoccuparsi della gestione del turismo ma semmai di sfruttare il brand della città (Veneto the land of Venice..), sul MOSE si è pronunciato solo per precisare che la Regione non avrebbe sborsato un euro per il suo esercizio, tutti gli operatori portuali denunciano una sostanziale assenza della Regione (contrariamente al vicino Friuli Venezia Giulia che è costantemente a supporto del porto di Trieste), mai sentito Zaia parlare con cognizione di causa di locazioni turistiche, sviluppo di Porto Marghera, porto offshore, rigenerazione urbana, degrado e criminalità.. certo temi non primariamente di competenza regionale ma in ogni caso non ha mai dimostrato alcun commitment particolare. Resta il fatto che Zaia si gioverebbe dell’enorme popolarità di cui gode e sarebbe un candidato forte. Ma non affatto imbattibile.
Infine, e chiudiamo il cerchio, resta il centrosinistra nella partita comunale. Qui, rispetto alla Regione c’è l’enorme differenza che il centrosinistra la partita la può vincere. Anzi la deve vincere, un’altra sconfitta in quello che era un feudo incontrastato prima del ciclone Brugnaro sarebbe probabilmente letale. E siccome qui si può vincere (e vincere piace a tutti) l’opzione della candidatura del Segretario Martella sembra essere una tra le più gettonate. Tanto più appetita sarà se Zaia non sarà della partita (e questo sarà certo se il candidato in Regione sarà un leghista) perché aumentano le possibilità di vittoria. Ora, opinione personale, Martella sarebbe un candidato pallidissimo. A parte la già ricordata gestione della partita in Regione, è un politico a tutto tondo, da una vita a Roma (è alla quinta legislatura), anche se da qualche anno ha preso la residenza a Mestre non conosce e vive i problemi della città, è un uomo di partito che potrebbe fare benissimo il king maker (e dopo Verona, Vicenza e Padova, completare il poker sarebbe un titolo di merito non da poco). Se il centrosinistra vuole vincere (e lanciare una legislatura proattiva e di sviluppo per la città) avrebbe già il candidato ideale. Il front man dei Futuri di Venezia che ha di fatto già proposto alla città un programma solido e insieme visionario, concreto e insieme radicale e ambizioso. Ovvero esattamente quello che NON si è fatto in Regione. Certo Alessio Vianello non è uomo di partito, è un esterno, un esponente della società civile, sarebbe meno controllabile e il suo programma prevede scelte radicali che incidono negli interessi di molti e non liscia il pelo alle posizioni ideologiche né di destra né di sinistra. Ma soprattutto il programma di Alessio NON è una brodaglia indistinta di “titoli” e buone intenzioni, di auspici e di dire – non dire, come inevitabilmente sarebbe il risultato del mitico (e mai abbastanza vituperato) “fare sintesi” per tenere dentro tutti.
Il PD avrà il coraggio e la lungimiranza di scegliere un programma e un candidato vincente anche se non organico al partito? E pure di sceglierlo presto, non tirare fuori il coniglio dal cilindro, more solito, all’ultimo momento utile dopo un estenuante negoziato su posti, assessorati e quant’altro?