Carceri, una vergogna tutta italiana
17 Febbraio 2024MIGRAZIONI, NON EMERGENZA MA FENOMENO STRUTTURALE
19 Febbraio 2024Si è parlato a lungo, nelle scorse settimane, di Berlusconi, in occasione del trentennale della sua discesa in campo. Tra elegie striscianti e critiche feroci, tese a ricordarci che morto il capocomico, non è cessata tuttavia la farsa, ho riflettuto su un monito letto su una testata giornalistica che recitava pressappoco così: mai sottovalutare chi si sopravvaluta. E aggiungo: mai sottovalutare gli epigoni di chi, ancorché in un primo momento sottovalutato, ha cambiato il corso della nostra storia.
Molti di noi non avevano considerato, infatti, il peso della sua discesa in campo e la forza innovativa di una modalità di comunicazione che in Italia nessuno mai prima di lui aveva sperimentato. Il seguito è stato una crescita senza limiti di un potere con cui, di riffa o di raffa, abbiamo dovuto fare i conti. Il nostro paese ha dovuto subire la ferita alla democrazia di un capo di governo che dettava l’agenda, ogni giorno che Dio mandava in terra, a schiere di giornalisti che celebravano, in televisione e su carta stampata, i suoi successi. E guai a contrastarlo. Si rischiava l’ostracismo (l’editto bulgaro ne rappresenta una triste testimonianza).
È un’abitudine della cultura di destra quella di non accettare il contraddittorio. È un’attitudine da Min Cul Pop quella di esaltare le prodezze del capo, fino a negare evidenze ben più scomode, e abbandonarsi a una propaganda che consoli e inganni il popolo. È tipico delle autocrazie assaltare e colonizzare i mezzi di informazione e accanirsi contro quanti esprimono dissenso. Sia che si tratti di giornali non allineati, sia che si tratti delle forze dell’opposizione.
Le aggressioni di Giorgia Meloni a Repubblica delle scorse settimane tendono a delegittimare un’informazione non prona al governo e sono un chiaro attacco all’articolo 21 della Costituzione che vede nella libertà di stampa un presupposto essenziale di democrazia. Si sa, però, che astuzia e abilità strategiche non mancano alla premier. L’attacco ai giornalisti non è fatto a caso, non è frutto di una caduta ingenua di Meloni o di un suo furore tardobarricadero. Sfonda invece una porta aperta perché evoca sentimenti di rivalsa verso una categoria di presunti privilegiati. Che sono poi quegli stessi giornalisti che il cognato Lollobrigida definisce “miopi e benpensanti”, un’”élite cresciuta a champagne in salotti e redazioni dove non arriva l’odore del letame” e quindi della vita vissuta. Un misto di vittimismo e revanchismo che si fonde con i deliri di onnipotenza di Sgarbi, sottosegretario alla cultura, che, passa all’attacco svillaneggiando onesti giornalisti che si limitano a raccontare i fatti.
Sempre galleggia, inoltre, la mistica dell’underdog che si sposa con l‘arroganza del potere finalmente conquistato. È la solita tecnica del contrattacco, e dell’abitudine, tutta di destra, di non rispondere nel merito e di ricercare, come nella favola de “Il lupo e l’agnello”, in chi è nato prima, la responsabilità dei propri errori o di quelle soluzioni che non si vogliono trovare.
Dominique Pradalié, presidente dell’International Federation of Journalists, ha parlato di un’inesorabile “deriva liberticida” nei confronti della stampa in Europa che – dice – “coincide con l’ascesa al potere di dirigenti di estrema destra”. Ciò che è capitato a Repubblica potrebbe succedere a chiunque. Ragione per la quale è necessario non minimizzare, né sottovalutare, come è stato fatto in passato, ma porsi in uno stato di allerta.
La destra al potere, in preda al suo sentimento di onnipotenza, sta riducendo il servizio pubblico a pubblicità ingannevole, piegato alla propaganda del governo, con titoli manipolatori, fake news e aperture-réclame dei tg della Rai. E, soprattutto, con uomini di destra nei ruoli chiave della cultura, dell’informazione, pronti a dare la narrazione che fa più comodo. Convincere la gente che tutto va bene, è consolatorio, ma non risolve i problemi. Illude e crea consensi. È un’involuzione culturale che naviga su inganni e luoghi comuni e che, come nelle migliori tradizioni autocratiche, penetra nella mente della gente, condizionandola nel profondo. Un’informazione ai tempi del sovranismo e della retorica della nazione. Sottovalutando tutto ciò, si avrà il trionfo del populismo, e, con esso, la perdita del pensiero critico. Dio ce ne scampi e liberi!