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1 Gennaio 2025Una premessa che ritengo necessaria: ho fornito un modesto contributo alla stesura del libro “I futuri di Venezia” di cui sono dunque tecnicamente coautore (in numerosa compagnia) e quindi ho un po’ di imbarazzo a parlarne, anche se nei prossimi mesi sarà inevitabile fare riferimento a quest’opera per le proposte sui singoli temi. Mi limito qui a ringraziare Franco Vianello Moro per la lusinghiera recensione https://www.luminosigiorni.it/societa-costume/i-futuri-di-venezia/ pubblicata su questa testata, rallegrandomi per il fatto che Franco ha colto esattamente il principio di fondo ispiratore di questo lavoro. E, concordo pure sui benevoli rilievi all’opera (anzi, ce ne sarebbe stato qualcuno di più).
Non entro dunque nel merito de “I futuri di Venezia” ma, avendo raccolto qua e là durante le presentazioni pubbliche di quest’opera umori e reazioni diverse, colgo l’occasione per qualche considerazione di carattere generale sullo spirito, le caratteristiche e gli obiettivi che ci si dovrebbe porre nella stesura di un programma per la città (valida ovviamente per qualsiasi città, non solo Venezia). Argomento questo che nei prossimi mesi sarà particolarmente caldo in vista delle elezioni Amministrative nella primavera 2026. Perché di fatto, quello che propone “I futuri di Venezia” è una serie di indicazioni che in qualche modo sono della stessa natura di un programma. Certamente più ambizioso e strutturato di un programma da campagna elettorale, con una visione temporale molto più a lungo termine di un mandato amministrativo ma, di fatto, I futuri di Venezia propone un modello di futuro che appunto può e/o deve essere parte di un programma elettorale.
Una timida obiezione che ho colto qua e là durante le presentazioni pubbliche de I futuri di Venezia è che sarebbe eccessivamente ottimistico, un po’ libro dei sogni, che contiene “troppa roba”, così tanta da rendere inverosimile la sua realizzazione. Questo, peraltro, nonostante tutta la ratio della proposta fosse basata su un assunto forte e molto concreto: ovvero che tutta la lista della spesa sia sostenibile attraverso l’imposizione di una tassa di scopo ai turisti (ma non entro nel dettaglio della proposta, non è questo il tema). Resta il fatto che, in ogni caso, la diffidenza del cittadino elettore rispetto a promesse roboanti, castelli in aria, o slogan accattivanti ma privi di qualsiasi valutazione sulla sua fattibilità è, viste le esperienze del passato, assolutamente comprensibile. D’altro canto, bisogna porre attenzione a non cadere nel peccato opposto: rimanere inchiodati ad una visione del qui ed ora, che non va oltre la prospettiva della buona gestione e, dietro il dito della concretezza, nascondere una mancanza di idee e di prospettiva.
Proviamo dunque a stilare una specie di vademecum, di istruzioni per l’uso nel concepire e maneggiare programmi elettorali; è un gioco, tra il serio e il faceto, che può essere però utile nel leggere dentro i programmi che ci verranno riversati nel corso del prossimo anno e passa, per la corsa per Cà Farsetti.
Prima raccomandazione: un programma di governo di una città (e segnatamente di una città grande e complessa) necessita di essere visionario, nel senso proprio di avere una “visione di futuro” da perseguire. Cioè, contenere un disegno, una traccia di dove si vuole andare, presentare in modo inequivocabile le scelte e le priorità che si intendono perseguire. Scelte, appunto, che significa accontentare qualcuno e fare storcere il naso ad altri. Ci vuole insomma immaginazione e coraggio. E sana radicalità, nel senso di chiarezza e definizione degli obiettivi.
Seconda raccomandazione: concretezza. Gli obiettivi posti devono avere una perlomeno teorica possibilità di essere perseguiti, economicamente, proceduralmente, legalmente. E questa possibilità deve essere esplicitata, non solo il “cosa” ma anche il “come”. E avere chiaro gli ostacoli da superare ed aggirare. Gli obiettivi devono essere magari ambiziosi ma raggiungibili, magari anche solo parzialmente, e possibilmente misurabili.
Mi rendo conto che i due concetti – visione e concretezza – sono fisiologicamente in contrapposizione. Si tratta di contemperarli virtuosamente e con equilibrio. Nel concreto, va evitata una stesura di desiderata completamente priva di realizzabilità, che di fatto si ferma a slogan cattura voti e, insieme, rischio opposto, usare l’alibi della concretezza per nascondere una sostanziale carenza di idee e di prospettive. Mi è capitato di leggere bozze di programmi così poveri di idee da elencare come punti programmatici la programmazione coordinata degli interventi nel sottosuolo, la manutenzione del verde pubblico, la pulizia della città.. tutte cose ovvie, prassi virtuose che dovrebbero essere consolidate… Certo molto concrete e facilmente raggiungibili. Ma NON un programma per la città.
Terza e ultima raccomandazione: evitare come la peste indicazioni generiche tanto per coprire un tema ma che rivelano la mancanza di idee. Tipo “rafforzare il servizio di trasporto pubblico” o “intervenire sulla scorrevolezza della circolazione automobilistica” o, ancora, “tutelare il settore di..” o “razionalizzare il sistema dei trasporti su acqua”, “eliminare la criminalità e il degrado”. Come? Intervenendo dove? Con quali scelte? Con che (se pertinente) risorse? A scapito di cosa? Ecco, sono tutte domande che chi scrive un punto programmatico deve porsi preliminarmente.
Naturalmente, la maggior parte dell’elettorato vota o per posizionamento politico non modificabile o sulla spinta di considerazioni istintive e irrazionali, segnatamente l’appeal e la credibilità del candidato (che, al limite, verrebbe votato anche se il suo programma fosse “so figo, so beo, so fotomodeo”) e dei programmi non legge una riga e nemmeno un riassunto per punti. Questo è un fatto. Ma sempre di più, soprattutto con il crescente calo di partecipazione al voto, il piccolo voto di opinione, di apprezzamento informato e consapevole, che valuta davvero le diverse opzioni di futuro che i programmi propongono può risultare decisivo. Anche influenzando la partecipazione al voto perché programmi sciatti e poco convincenti certo non invitano ad andare a votare coloro che non hanno un posizionamento politico a priori. Insomma, quei pochi elettori che valutano i candidati (anche) attraverso i programmi che propongono possono risultare decisivi. A quei pochi sono dedicate queste righe.



