Un nuovo bipolarismo, dopo il crepuscolo delle idee
6 Giugno 2018I Geniali di Moscovia -Terza parte-
11 Giugno 2018In questi giorni campeggia sui giornali la notiziona che il neo insediato Governo avrebbe, perlomeno nelle dichiarazioni di Salvini, intenzione di ritirare il ricorso alla Consulta avverso la celebrazione del referendum. Ricorso che, ricordo per i pochi che non lo sapessero, contesta la legittimità della consultazione in quanto confligge con la legge Delrio.
Ne sono seguiti prevedibilmente peana di giubilo dei separatisti nei quali campeggia l’argomento che il ricorso è infondato perché è chiaro che il referendum è perfettamente legittimo. Dall’altra parte, molti commenti opposti nel dire che è chiaro che il referendum non ha fondamenti giuridici.
Ebbene, mettiamoci il cuore in pace: di chiaro invece non c’è assolutamente nulla. In realtà la questione del conflitto tra la Legge Delrio e la LR 25/1992 (la Legge Regionale che appunto regola per la Regione Veneto la materia) è una matassa ingarbugliata ed è un esempio purtroppo esemplare dei danni dell’ipertrofia legislativa (e aggiungerei della sciatteria con cui si scrivono le leggi) nel nostro Paese.
Ora, diciamolo chiaramente: se alla fine il referendum si celebrerà, lo affronteremo serenamente. Chi come me pensa che la divisione sarebbe una iattura epocale farà del suo meglio perché questa non si verifichi. Nel mentre che aspettiamo di sapere se si giocherà o meno la partita, per i pochi temerari che volessero approfondire, cerchiamo di capire i termini della questione e su cosa dovranno pronunciarsi il TAR e forse la Consulta. Rivendico che quella che segue è un’analisi asettica e del tutto obiettiva, non influenzata dalle mie convinzioni unioniste, e se ci sono errori sono esclusivamente dovuti a miei limiti intellettuali, non a malafede.
Premessa: la Costituzione, all’art. 133 (quello a cui i separatisti si riferiscono come pietra angolare della loro posizione) recita: La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni. In conformità all’art. 133, la Regione Veneto (come tutte le altre Regioni), si è dotata di una legge apposita, la famosa Legge Regionale LR 25/1992 ed è ai sensi di quest’ultima che i separatisti hanno dapprima raccolto le firme e poi, esauriti i vari passaggi procedurali, la Regione ha indetto il referendum. Sarà utile (vedremo in seguito perché) anche riportare che la stessa Costituzione, all’art. 117 secondo comma lettera p) cita tra le competetenze statali esclusive legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.
Nel frattempo la legge Delrio è entrata in vigore. E la Delrio prevede sì un percorso per la divisione del Capoluogo della Città Metropolitana (CM nel seguito) ma tramite un processo completamente diverso (non mi dilungo nei particolari per non perdere il filo). Va detto subito che la Delrio non contiene riferimento alle Leggi Regionali con le quali evidentemente confligge. Non è scritto, per intendersi, da nessuna parte qualcosa del tenore “le presenti disposizioni annullano e sostituiscono le esistenti legislazioni regionali in merito a ridefinizione dei confini comunali relativamente al (solo) Comune capoluogo”. Qualcuno sostiene che debba ritenersi implicito, altresì vi è chi ritiene non sia stato casuale per non incorrere in presunzione di incostituzionalità.
Quindi la domanda ultimativa a cui dovranno rispondere i giudici amministrativi e costituzionali è la seguente: per la divisione del Comune di Venezia la legge LR 25/1992 è ancora applicabile o è superata (de facto e de jure) dalla Delrio?
Preziosi indizi (ma solo indizi..) di come la pensa la Consulta ci sono offerti dal fatto che alcune Regioni, (Veneto, Puglia e Campania) avevano fatto ricorso alla Corte Costituzionale, denunciando una lunga serie di presunti elementi di incostituzionalità della Delrio. Utilizzeremo quanto dice la Consulta nella celebre sentenza n° 50 del 2015, con la quale rigetta in toto le accuse di incostituzionalità, per capire qualcosa della ratio del pensiero dei Giudici. Va detto che tra le obiezioni sollevate dalle Regioni non c’era quella esplicita sulla divisione del Comune Capoluogo e quindi dovremo cercare di arrangiarci con appunto indizi indiretti.
Il primo punto di interesse è la risposta data dalla Corte avverso la presunta incostituzionalità dell’articolazione del territorio del capoluogo in più Comuni come condizione per l’eleggibilità diretta del Sindaco metropolitano. Il punto 3.4.4 lettera a) della sentenza recita:
l’articolazione territoriale del comune capoluogo in più comuni» (..) non viola l’art. 133, secondo comma, Cost., non comprimendo in alcun modo le prerogative del legislatore regionale (..) né contrasta con l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., essendo il presupposto, di cui si discute, comunque, riconducibile alla competenza statuale esclusiva in materia di «legislazione elettorale (…) di (…) città metropolitane.
Tradotto: la Legge Delrio si avvale della competenza statuale derivante dalla lettera p) secondo comma dell’art. 117 di cui sopra e, siccome la legislazione elettorale è competenza statuale, la Delrio è legittimata a definire il processo che crede. Resta il dubbio interpretativo di quel non comprime le prerogative del legislatore regionale. L’interpretazione più probabile è: “per il Comune capoluogo, essendoci di mezzo la legislazione elettorale, la materia non è (più) di competenza della Regione quindi automaticamente non ho compressione delle prerogative di questa”. In tal caso referendum addio. Ma un separatista d’assalto potrebbe anche obiettare che la frase significhi semplicemente che restano in piedi anche le leggi regionali (perché altrimenti, limitatamente al capoluogo, si configurerebbe una limitazione dei poteri della Regione).
L’altro punto di attenzione è dove la Corte rigetta l’obiezione relativa al fatto che la Delrio norma le unioni e le fusioni dei Comuni. La Corte scrive:
6.2.2.− Allo stesso modo la disposizione (sub comma 130) relativa alla fusione di Comuni di competenza regionale non ha ad oggetto l’istituzione di un nuovo ente territoriale (che sarebbe senza dubbio di competenza regionale) bensì l’incorporazione in un Comune esistente di un altro Comune, e cioè una vicenda (…) relativa (…) all’ente territoriale Comune, e come tale, quindi, ricompresa nella competenza statale nella materia «ordinamento degli enti locali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.
Ora, a giudizio anche di esperti autorevoli, qui c’è una contraddizione. Infatti: in entrambi i casi (fusione e divisione) l’esito è l’istituizione di un nuovo ente territoriale. Se i comuni di Valleverde di Sopra e Valleverde di Sotto si fondono e nasce il nuovo comune di Valleverde Sottosopra, questo è un nuovo ente territoriale. Esattamente come sarebbe il Comune di Mestre (se non anche il Comune di Venezia, che diventerebbe un’altra cosa). Quindi, se l’interpretazione estensiva del punto p) si applica alla fusione, si applica pari pari anche alla divisione. Interpretazione questa confortata dalla netta affermazione che trattandosi di una vicenda riferita all’ente territoriale Comune è come tale di competenza statale in forza della ormai famosa lettera p). Ma allora, se l’ente territoriale Comune è (comunque) competenza dello Stato, a quale ente si riferisce quando si legge istituzione di un nuovo ente territoriale (che sarebbe senza dubbio di competenza regionale)?..
In conclusione, avete presente ibi redibis non morieris in bello? Siamo nella stessa situazione dell’oracolo di Delfi.. ognuno può leggere la pronuncia della Corte come vuole.
Lettura separatista:
“la Corte ha detto che la Delrio non è anticostituzionale perché non comprime le prerogative delle Regioni –> la LR 25/1992 è una prerogativa della Regione è quindi vale integralmente –> vale dunque a tutti gli effetti anche per il Comune capoluogo e coesiste con la Delrio –> il referendum (ai sensi appunto della LR 25/1992 ) è valido e si può celebrare”.
Lettura unionista:
“la Corte ha detto che la Delrio non è anticostituzionale perché intende in modo molto estensivo le prerogative statali ex art. 117 Cost. e la fa prevalere sulle legislazioni regionali in più punti –> la stessa interpretazione estensiva si deve suppore evidentemente per la divisione del (solo) Comune capoluogo –> la LR 25/1992 non si applica –> il referendum non è legittimo”.
A favore delle tesi unioniste, inoltre, una corrente di pensiero valorizza il fatto che la Delrio norma il funzionamento della CM che è un organo costituzionale (art. 114) (ovvero in gergo la Delrio è una legge di respiro costituzionale). Da qui il rapporto di specialità rispetto alla generale competenza di “modifica dei comuni” che resta peraltro in mano alla Regione, tranne che per il solo capoluogo della CM. Tale circostanza non farebbe ravvisare motivi di incostituzionalità.
Questo in punta di diritto. Onestamente, a favore della non celebrazione del referendum c’è anche una considerazione tutta politica: la coesistenza di Delrio e LR è oggettivamente priva di senso. Perché se, ipoteticamente, si celebrasse il referendum, questo raggiungesse il quorum e vincessero i SI, verrebbe meno tutta la concezione politica della CM. In altri termini se le due leggi anche potessero in astratto applicarsi entrambe al Comune di Venezia (sia chiaro: del tutto ipoteticamente ad oggi), dal punto di vista pratico sarebbe un conflitto insanabile e l’unico modo per sanarlo sarebbe espungere Venezia dal novero delle CM.
Tutto molto incerto, come vedete. Proprio per questo, una pronuncia definitiva e chiara della Corte sarebbe oltremodo opportuna. Speriamo davvero che il Governo non ritiri il ricorso pendente. In fin dei conti la sentenza è attesa a breve e gioverebbe a tutti, anche a chi propugna il referendum, avere certezze prima (eventualmente) di andare a votare.