
Scuola veicolo di integrazione. Ma come?
30 Giugno 2024
Things can only get better (Le cose possono solo andare meglio)
9 Luglio 2024“Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”. Questi sono i quattro versi dell’arcinota poesia di Ungaretti. Il titolo della quale è “Soldati”. Il paragone implicito tra il titolo e il testo della lirica, la relazione tra le due parti, è intuitiva per un modesto cervello umano ed è ciò che spiega il senso complessivo: significa che la precarietà della vita in trincea (prima guerra mondiale) era paragonabile a quella delle foglie autunnali che da un momento all’altro possono cadere ad una raffica di vento.
Ora, la comprensione di questo elementare volo pindarico, di questa semplice figura retorica sembrerebbe essere preclusa ad una intelligentissima Intelligenza Artificiale. Dove sta dunque il pericolo tanto spesso ravvisato nella cosiddetta A. I.? Quali sono i veri rischi (e, naturalmente, gli enormi vantaggi) di questo nuovo software?
Alla fine del 2022 è stata rilasciata una versione aggiornata della Chat GPT (Generative Pre-trainer trasformer, cioè trasformatore generativo pre-addestrato). L’ultimo software del genere è del maggio 2024. Che cosa è capace di fare l’A.I.? Be’, per esempio è in grado di produrre, se riceve in pasto (o se può attingere a) un’adeguata mole di vocaboli, di frasi o di file di testo su un argomento dato, può produrre un discorso che nessuno ha mai detto o fatto. Può ad esempio inventare una poesia all’Ungaretti o alla Montale, una poesia che nessuno dei due autori si è mai sognato di scrivere. Oppure può, con egualmente disinvolta e supersonica velocità, produrre immagini del tutto originali e mai viste nello stile di qualche noto artista: può creare un’immagine alla Van Gogh che Van Gogh non ha mai dipinto. Stupefacente!
E come funziona questo software prodigioso? Il meccanismo di fondo – ci spiegano – è quello delle reti neuronali: un sistema di “nodi” (unità di calcolo) che, comunicando tra loro, se adeguatamente foraggiati d’informazioni su un argomento dato, possono, per rapidissimi aggiustamenti selettivi, imparare da sé e poi produrre in men che non si dica qualcosa di nuovo e del tutto inedito su un argomento dato.
Sono costruite, queste reti, sul modello del cervello umano, nel quale ci sono però decine di miliardi di neuroni e ciascuno di essi ha un centinaio di connessioni con altri neuroni. Mentre invece il più avanzato programma di A.I. ha solo qualche milione di nodi. È più stupido, dunque, di noi? In un certo senso sì, lo è. Ma si dà il caso che un programma del genere può vagliare migliaia di documenti in una frazione di secondo. In questo senso, dunque, è molto più intelligente del nostro cervello.
Come “pensa”, dunque, un software del genere? Ragiona, per così dire sulle probabilità delle occorrenze e capisce come produrre qualcosa nella forma, nello stile, nel tipo o nel genere voluto dall’essere umano che ne fa richiesta. Dagli in pasto tutta l’opera di uno scrittore illustre e lui, dopo poco, sarà in grado di proporti testi originali nello stile di quell’autore. Dagli in pasto file con tutta la produzione di un Picasso e lui saprà poi produrre dipinti “originali” di Picasso, che Picasso non si è mai sognato di dipingere.
Ma si può considerare, questa, realmente “creatività”? È capace un simile software di rompere gli schemi e di produrre soluzioni inedite con un valore semantico ulteriore rispetto a quello della comunicazione ordinaria, come fa il poeta con i suoi illuminanti e sorprendenti scarti dalla norma linguistica, atti a creare inattesi sensi ulteriori? Il software generativo – ci sembra di capire – questo non può farlo perché è una “macchina” pensata proprio per operare secondo certi schemi, non per disattenderli.
Sicché il fantasma futuribile e distopico di una A.I. che venga a soppiantare il cervello ed il pensiero umano, sembra, allo stato delle cose, non troppo preoccupante. Non per questo, però, mancano gli scenari inquietanti. Prendiamo due ambiti a caso in cui sono enormi le potenzialità della A.I. Uno è quello delle previsioni metereologiche. È enorme la quantità d’informazioni sincroniche e diacroniche sul clima che un software generativo può elaborare velocissimamente per prevedere il tempo atmosferico. Altro caso: nella farmacologia un’intelligenza artificiale può vagliare una messe smisurata di combinazioni e probabilità per individuare nuove molecole grazie alle quali contrastare, per esempio, i virus. E questi sarebbero vantaggi. Ma altrettanto facilmente un’A.I. potrebbe produrre proteine letali e veleni bellici per stermini mirati…
Altro interrogativo inquietante. Può l’intelligenza artificiale leggere il pensiero umano? Sono stati condotti esperimenti con una macchina per la risonanza magnetica. L’attività registrata dei neuroni ha consentito alla A.I. tra le immagini sottoposte ai volontari e le zone del cervello di volta in volta attivate. Ma è poi riuscita anche, su un argomento dato ai pazienti su cui pensare, ad individuare l’argomento in questione. Riuscirà il nuovo software a fare di meglio (o di peggio)? Questa eventualità non è certo facile da digerire per noi umani. Ma consideriamo anche le potenzialità positive: chi a causa di incidenti o di patologie non ha perso le capacità di pensare ma quelle di comunicare sì, potrebbe ricevere un aiuto dirimente dalla A.I….
E questi sono solo alcuni dei molteplici benefici (attuali o possibili) dell’A.I. Senonché, la A.I. è, in fondo, solo uno strumento e come tale può essere utilizzato bene o male: a fin di bene o a fin di male. Una clava era benefica o dannosa? Né l’una né l’altra cosa, in sé. Era evidentemente utilissima e benefica per difendersi dai predatori ma era letale e malefica se usata per spaccare il cranio di un uomo. In sé era solo uno strumento, neutro. Bontà o cattiveria dipendevano dall’uso che se ne faceva.
Altro inconveniente della A.I. Quanto numerosi sono i casi in cui essa potrà sostituirsi e verrà a sostituirsi al lavoro dell’uomo? È facile immaginare le fattispecie numerosissime in cui questo avverrà (e sta già avvenendo) e le ricadute occupazionali che tale fenomeno avrà. Si tratta, dunque, di una svolta epocale paragonabile forse a quella della rivoluzione industriale. Tanti mestieri e professioni scompariranno, come scomparvero all’epoca della rivoluzione industriale. E questo è certo uno scenario inquietante, targato disoccupazione, posti di lavoro persi. Pensiamo, per fare ancora solo un esempio, a settori come la grafica, la pubblicità, il marketing, in cui l’A.I. può bellamente soppiantare il lavoro “creativo” dell’uomo. Ma non è certo sfasciando le macchine (o i software), come fecero a suo tempo i luddisti, che si ferma il progresso tecnologico.
Purtuttavia ci sono forse degli altri limiti materiali allo sviluppo della A.I. Essi riguardano il consumo di energia e le emissioni di CO2. Si consideri, ad esempio, che già prima dell’intelligenza generativa, qualche anno fa, il “banale” internet in un anno consumava energie ed emetteva CO2 quanto l’intero continente africano (cioè un 4% delle intere emissioni planetarie). Mentre il nostro cervello in attività consuma (pare) quanto lo schermo a riposo di un computer, l’A.I. per poter funzionare ha bisogno di enormi quantità di terawatt. Il consumo necessario per il solo addestramento della versione più aggiornata di Chat GPT ha provocato un’emissione impressionante di CO2. Ancora più mastodontica l’energia necessaria a tutte le applicazioni dell’A.I., all’elaborazione, all’immagazzinamento e all’aggiornamento dei dati. Dove si attingerà per produrre tutta l’energia necessaria? È forse questo il vero collo di bottiglia.