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Queste vituperate democrazie occidentali
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Il motivo principale è noto: sono le benedette piattaforme streaming, sempre più numerose, con un’offerta di film sempre più vasta. E sempre più spesso, anzi, con un’offerta di film e di serie a puntate o episodi, fatte ad hoc, solo ed esclusivamente per tali piattaforme e per il canale televisivo. Film visibili, va da sé, anche sul computer.
Sicché la gente questi film se li “consuma” magari compulsivamente in metropolitana, sui propri smart-phone o sui tablet. Oppure, meglio, se li gode a casa propria, nel comfort dei propri divani, nel tepore (o nel fresco condizionato, a seconda della stagione) della propria abitazione, su schermi sempre più ultra-qualcosa. Oltretutto, con i vari abbonamenti che ciascuno può stipulare con poca spesa, chi vuoi che vada più a sperperare dei quattrini al cinema, uscendo di casa, maledicendo il traffico e i parcheggi pieni, e senza, oltretutto, quel piccolo grande vantaggio di poter bloccare la proiezione in qualsiasi momento, quando uno ne ha voglia o anche solo quando scappa la pipì? Una sparuta minoranza, lo fa.
Insomma i vantaggi di starsene a casa a vedere il film che si vuole sono schiaccianti. Come sono schiaccianti i vantaggi di tutte quelle altre modalità d’interazione con l’universo mondo di cui altre volte abbiamo parlato e che oggi ci consentono di fare tante cose da casa, via internet, comodamente seduti: gli acquisti a domicilio, la spesa a domicilio, il lavoro da remoto, il conto home banking, la consultazione e il disbrigo delle pratiche presso gli uffici pubblici e… quasi tutto, oramai.
Ma proviamo a chiederci se abbia invece ancora un senso uscire di casa, prendere l’auto, la bici, il tram e recarsi in un cinema per vedere un film. Lasciamo pur perdere i vantaggi, forse oramai secondari, della tanto decantata visione sul “grande schermo”. Lasciamo perdere che magari fa bene uscire di casa, ogni tanto. Il fatto è un altro: è che un tempo era bello andare al cinema con amici, per poterne poi discutere, all’uscita, magari davanti a una pizza: dibattere, confrontarsi, riflettere insieme, scontrarsi, litigare, accapigliarsi perfino, sul film visto e dintorni. Questo aiutava a pensare. A trarre qualche succo consapevole da ciò che si era visto. Magari per cambiare idea oppure per confermarsi nelle proprie opinioni, ma con argomenti più solidi e chiari, dopo una vivace discussione, un appassionato confronto. E discutendo del film visto, va da sé, si parlava anche della vita reale di ciascuno e di tutti. È un costume, questo, che si va smarrendo.
Questa palestra di discussione, un tempo, la si praticava moltissimo nei cosiddetti Cineforum. Non è che non ce ne siano più, di Cineforum, dove si possono godere magari quei film bellissimi che però in un fiat scompaiono dai circuiti tradizionali. Ma nell’insieme i cineforum languiscono e sono merce rara. La gente, i film se li consuma come qualunque altro prodotto di consumo, uno via l’altro, senza fermarsi a parlarne e a pensarci su.
Eppure i film hanno ormai da tempo in gran parte rimpiazzato (e ancora rimpiazzano) il genere “romanzo”. Non che le due forme d’arte siano equivalenti, beninteso. Ma certo il film è da un pezzo la moderna e popolare forma di narrazione che parla delle vite degli individui, delle nostre stesse vite, in fondo. I personaggi e i loro casi e i loro dialoghi (i dialoghi, soprattutto) sono le nostre finestre sul mondo: quelle attraverso le quali possiamo entrare nelle case della gente, nelle famiglie, nelle relazioni tra le persone.
Guardando i casi dei personaggi, le disavventure, le fortune, le tragedie, noi guardiamo noi stessi. E parlandone e rispecchiandoci, capiamo qualcosa di più della nostra stessa vita. Ci sono le musiche, in un film, le immagini in movimento, la fotografia ed altre cose importanti ancora, ma è soprattutto attraverso i dialoghi, le parole dette o solo pensate dai personaggi, che noi entriamo in quel mondo fittizio di vite e di casi, che spesso ci provoca, c’induce a riflettere sulla nostra stessa esistenza.
Senonché le parole parlate dai personaggi sono diventate oggi in molti casi un mistero insondabile e imperscrutabile, perché, per un malinteso senso del realismo, sempre più spesso ci capita d’imbatterci in attori che biascicano, che non scandiscono, registrati in presa diretta, attori che non si fanno capire: cioè semplicemente non si capisce quello che dicono. Ci avete mai fatto caso?
Una volta, anche nei film “veristi” (per esempio nel neorealismo o nella commedia all’italiana) in cui gli attori recitavano magari in dialetto, il regista aveva però poi cura di fare in modo che gli attori medesimi del film doppiassero se stessi. Perché è ovvio: se non comprendi quello che i personaggi dicono, buonanotte alla comprensione del film e della storia. Non si capisce dunque perché, se si vuole conservare la suggestione di un idioma dialettale parlato nella sua variante magari più stretta (e ben venga!), o più concitata o più sussurrata, non si ricorra in molti casi all’uovo di Colombo e cioè a quello che si fa con i film stranieri proposti in lingua originale: si mettono giù in basso i sottotitoli, vivaddio!
Ma questo è un altro discorso