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8 Gennaio 2021Dall’entrata in funzione in modalità provvisoria delle paratoie del MoSE nel mese di Ottobre, cosa che ha dato un grande segnale di speranza e ottimismo per la città di Venezia, si è cercato, ripetutamente, di aprire un dibattito su di una supposta contrapposizione tra la città di Venezia e il suo porto, definita talvolta addirittura una contrapposizione ‘storica’, e sulla altrettanto supposta volontà del porto di sacrificare Venezia ai propri interessi economici, come se questi non fossero in realtà interessi comuni. Si tratta di affermazioni non solo totalmente contestabili nella sostanza, come cercherò di spiegare nei paragrafi successivi, ma che, in aggiunta, si prestano a destare sospetti, come li ha destati a me, circa l’interpretazione autentica del messaggio che potrebbe mirare, piuttosto, a screditare la portualità veneziana e il suo futuro. È invece necessario trovare nel sistema MoSE il giusto equilibrio tra la salvaguardia fisica della città, quella ambientale della laguna e quella degli interessi economici legati alle attività portuali in senso lato.
Sul punto del legame storico tra porto e città, in realtà, è richiesta solamente una superficiale conoscenza della storia della Serenissima: non credo esista uno storico che non leghi la grandezza e il fulgore della città di Venezia negli anni, fin dalla sua nascita, allo sviluppo dei traffici marittimi (sia commerciali che militari) e poi a quello delle attività artigiane, manifatturiere e industriali ad essi collegati. L’inestimabile produzione culturale e artistica presente e stratificatasi nei secoli, derivata spesso da predazioni fatte durante le campagne militari vittoriose nei mari, è ovviamente, un ulteriore e conseguente effetto. In qualsiasi fase della sua storia, il porto e le attività collegate hanno permesso, in maniera sapiente, di dare un impulso alla crescita in termini di potenza, ricchezza e demografia. E questo da sempre fino ai giorni più recenti. Nel 1586 Venezia, in pieno rilancio economico dopo la peste, raggiunge la quota di 168.000 abitanti, con l’attività marittima ai massimi livelli e l’inizio di attività manifatturiera alimentata dai traffici e dalla presenza di mercanti e uomini di finanza (Domenico Sella, Storia di Venezia, 1994). Più di recente nel 1928, a seguito della nascita della prima zona industriale di Porto Marghera e l’inaugurazione del Canale Vittorio Emanuele III (1922) che libera la Marittima dai traffici industriali, Venezia si riappropria del secondo posto nella classifica per volumi dei porti in Italia: la città storica si appresta lentamente ad una crescita demografica che la porta a raggiungere nel 1951 il massimo numero di abitanti (175.000). Oggi, con una popolazione che si è necessariamente travasata verso la città di terraferma per la spinta centrifuga imposta dalla pressione turistica, Venezia è, sempre più che mai, porto: 21.0000 lavoratori impiegati, 6,6 mld di euro di valore di produzione, la prima flotta peschereccia d’Italia, primo home port italiano per le crociere e via così.
In questo senso, merita un veloce approfondimento l’idea di sviluppo socialmente sostenibile che ci si pone come obiettivo per Venezia: ‘quelli del porto’ la pensano sul punto esattamente come l’UNESCO che ha definito come la maggiore priorità per la sua azione a tutela di Venezia e della Laguna, sia la salvaguardia e la difesa della sua identità e della sua integrità, contro un processo inesorabile di invecchiamento della popolazione, di perdita di residenzialità e di offerta di servizi e attività per i residenti. Tale situazione deteriorata, è stata determinata da una dipendenza assoluta della città storica dal turismo: l’acqua alta di novembre 2019 e la pandemia a partire da marzo 2020 hanno mostrato il ‘Re Nudo’. La città è diventata la trasposizione macabra di quello che invece rappresentava nell’immaginazione collettiva: negozi e attività commerciali chiuse, hotel e appartamenti semivuoti, una perdita stimata di almeno 3 mld di euro nel fatturato turistico, mancanza di lavoro e migliaia di persone senza reddito o attaccate al rinnovo degli ammortizzatori sociali. Sono dell’idea, quindi e piuttosto, che di troppa ‘bellezza’ la città stia ‘morendo’, o meglio di troppa ‘bellezza’ non sapientemente amministrata per troppi anni, cosa su cui credo varrebbe la pena rivolgere attenzioni e conoscenze mirate e professionali, proprio di chi ha, in alcuni casi, alimentato il dibattito.
Vorrei poi soffermarmi sulla questione della soglia di salvaguardia scelta a +110 cm a regime per la chiusura delle paratoie, laddove appunto, invece, viene suggerito, da alcuni, di utilizzare soglie di livello inferiore. Sembra quanto meno necessario portare un contributo tecnico su questo, per evitare, appunto di introdurre contrapposizioni lavoro-ambiente-salvaguardia che in realtà non ci sono perché sapientemente previste e valutate già in fase di progetto. Tutte le attività di salvaguardia fisica ed ambientale realizzate finora e quelle ancora da realizzarsi fanno parte del ‘Piano generale degli Interventi’ predisposto nel 1991 e diventato cogente con la Legge Speciale 139/1992. Le azioni sono state messe in opera attraverso le Leggi Speciali da parte dello Stato o atti amministrativi della regione Veneto e dagli altri enti territoriali. Le linee di intervento possono venir riassunte in 10 punti: studi e sperimentazioni, difesa dalle acque alte eccezionali, difesa dalle acque alte medio-alte, ristrutturazione dei moli foranei, difesa dalle mareggiate, recupero morfologico, arresto del degrado dell’ecosistema lagunare, allontanamento del traffico petrolifero, ausili luminosi alla navigazione e l’apertura delle valli da pesca.
La seconda e la terza linea d’intervento combinano due effetti di protezione l’una in eccesso all’altra: con la terza linea d’intervento si provvede a difendere localmente gli abitati lagunari e i centri storici di Venezia (a +110) e di Chioggia (a +130) dalle acque medio-alte, lasciando agli interventi della seconda linea d’intervento (il sistema delle paratoie del MoSE) la protezione al di sopra dei livelli di difesa citati (+110 e +130). In realtà il condizionale è d’obbligo nel senso che questo è quanto previsto dal Piano generale degli interventi, ma solo in parte attuato o meglio a macchia di leopardo. In particolare, la terza linea d’intervento prevede l’esecuzione di due tipologie di azioni di difesa: quelle sugli abitati del cordone litoraneo e quelle dei centri storici interni alla Laguna, soggetti questi ultimi a livelli di difesa più bassi per il contesto storico, architettonico e paesaggistico. Sono stati completati interventi di protezione su circa 90 km di rive e la superficie difesa è stimata in 1.200 ettari: Malamocco, Alberoni, Pellestrina e San Pietro in Volta, Treporti, Murano, Mazzorbo, Torcello e Sant’Erasmo. A Chioggia gli interventi proteggono dagli allagamenti fino a +130 attraverso il rialzo delle aree di bordo e l’installazione di due paratoie (baby Mose) per difendere il centro storico (in eccesso a +130 interviene il MoSE). Per il centro storico di Venezia, le opere di difesa locale non sono state completate per cui circa il 12% della città subisce effetti di allagamento per maree fino a +110. In particolare è previsto un sistema di difesa locale per il cuore della città e cioè l’insula di San Marco, progetto specifico che proprio in queste ultime settimane avrebbe ottenuto l’approvazione e lo stanziamento dei fondi necessari. In questa maniera la basilica e l’area marciana sarà difesa fino a +110 cm. Tutta la città storica verrà poi protetta dall’azionamento del MoSE per tutte le maree di livello superiore. Questo significa che la percentuale di aree asciutte con il sistema completo supererà ampiamente la previsione dell’88% con il solo azionamento a regime del MoSE avvicinandosi teoricamente al 100%; va posta ovviamente particolare attenzione ai gioielli artistici dell’area marciana, come pure a casi specifici di locali particolarmente bassi che potranno essere salvaguardati con interventi mirati.
In definitiva si tratta di un sistema molto complesso e a parti complementari che allo stato attuale, come su indicato, manca di molte di queste parti e ha visto, finalmente, la messa in opera (ancora in fase provvisoria) del sistema dei paratoie alle bocche di porto: non certamente per colpa del porto o dei cittadini. Tra queste parti mancanti o attualmente non funzionanti (e probabilmente che non potranno mai assolvere ai compiti per cui erano state pensate, con costi non trascurabili peraltro) vi sono anche alcune infrastrutture complementari all’opera principale alle bocche di porte, una per tutte la conca di navigazione di Malamocco. Questa opera avrebbe dovuto garantire l’accessibilità nautica permanente al porto di Venezia (e quella di Chioggia avrebbe dovuto fare lo stesso su Chioggia a salvaguardia soprattutto della pesca): l’impegno dei progettisti e dei costruttori dell’opera, nonché ora della struttura commissariale, come già dichiarato, dovrebbe essere rivolto prioritariamente alla risoluzione immediata di tali problemi.
È altrettanto noto che il sistema delle paratoie è stato pensato per operare nei casi estremi e quindi in un numero di volte all’anno limitato e progressivo in previsione degli aumenti di livello globale dei mari. Questo risponde ad una serie di motivazioni strutturali dell’opera che è soggetta a stress e usura tipica di ogni complesso sistema meccanico in ambiente ostile. Tale numero limitato di chiusure annue risponde anche alla esigenza di garantire un adeguato ricambio delle acque lagunari (aspetti ambientali) e la continuità delle attività economiche collegate (grazie alle opere complementari che dovrebbero garantire l’accessibilità nautica permanente ai porti lagunari). Ritengo quindi che non sia neppure tecnicamente pensabile utilizzare a regime le paratoie come sono state utilizzate finora con aperture frequenti a garantire dei livelli di protezione così bassi pena la sostenibilità strutturale del sistema complessivo, in tutti i sensi. Viste le previsioni fatte da I.P.C.C. (Intergovernmental Panel on Climate Change) sui cambiamenti climatici va probabilmente pensato di aggiornare anche, in questo senso, la modalità progressiva prevista, pensando di innalzare con interventi locali mirati a soglie maggiori (vedi ad esempio quello che è stato fatto a Chioggia con intervento a +130) per permettere al sistema di paratoie di intervenire a partire da soglie maggiori e quindi a poter adeguarsi ad una realtà fisica modificata e non prevista. In questo senso i ritardi non vengono tutti per nuocere.
Per quanto concerne le attività economiche è chiaro che si devono prevedere azioni volte ad una soluzione di prospettiva a medio lungo periodo con un sistema di accessibilità nautica permanente con l’uso delle conche (e i porti rifugio) funzionanti, l’uso parziale e modulare delle paratoie alle singole bocche (come testato nei mesi di novembre e dicembre, con risultati lusinghieri), il tutto corredato, potenzialmente in visione prospettica, da un porto d’altura (e porto rifugio) esterno dalla laguna per i traffici che risulteranno incompatibili. Nel breve medio dobbiamo sopperire alla incompletezza dell’opera (in tutte le sue forme incluse le protezioni locali) con la massima efficienza di cui possiamo dotarci (efficienza della comunicazione, prontezza di servizi, funzionalità H24 del porto) ma non possiamo da una parte dimenticare (come non lo può fare nessuna parte del sistema) la sicurezza e l’integrità fisica delle persone in mare (a bordo di navi, pescherecci, ma anche di tutti i servizi deputati alla assistenza), e dall’altra non considerare gli impatti economici di breve e purtroppo di lunga durata che la portualità sta sopportando in queste condizioni.
La posizione del porto su questa questione è sempre stata molto chiara negli anni: il sistema di protezione dalle acque alte, di cui il MoSE è una parte, ha una sua funzione fondamentale e non è mai stato contrastato. Il porto e i suoi lavoratori vogliono e abbisognano di una città storica viva e vitale come vale il concetto inverso, e cioè la città ha nell’economia del mare, nel suo complesso, sostentamento e forza propulsiva. Anche in questi mesi la comunità portuale si sta confrontando in maniera trasparente e proattiva con la struttura commissariale del MoSE al fine di cercare di raggiungere a regime l’equilibrio che sta alla base del sistema di protezione: salvaguardare la città e la laguna e contemporaneamente, senza contrapposizione, salvaguardare le attività economiche legate al mare e ai porti. Sappiamo come abbiamo sempre saputo che questo porterà danni e disagi alle nostre attività. Nel pieno rispetto delle norme e usando il buon senso che ha sempre caratterizzato il nostro modo aperto di vedere e pensare, derivato dai nostri antenati marinai, commercianti e mercanti, stiamo studiando strategie e cercando soluzioni per far diventare quello nostro, il sistema portuale ‘regolato’ più sostenibile e rispettoso di ambiente e lavoro al mondo, proprio perché lo fa verso il patrimonio mondiale per antonomasia che è Venezia e la sua laguna. Sarà quindi la prima città porto ad essere protetta dagli effetti climatici e perfettamente ‘resiliente’, mantenendosi viva, come fa da secoli, grazie alle sue attività economiche e produttive.