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18 Giugno 2024Sono in atto nella nostra società dei cambiamenti epocali, si sa. Molti di questi cambiamenti hanno un denominatore comune, che è una caratteristica, credo inevitabile, della rivoluzione telematica in atto. Vengono in mente le parole della nota canzone di Lucio Dalla: “Si esce poco la sera / persino quando è festa”. Ma altro che sera: moltissime cose siamo oggi in grado di farle, e le facciamo, senza spostarci di casa anche di giorno, senza uscire, senza entrare nel mondo ed in contatto coi luoghi, con la natura, con i nostri simili.
Ne abbiamo già parlato in un’altra occasione. Interagiamo oggi con la pubblica amministrazione, con gli uffici e con le aziende tramite internet. Senza doverci spostare, senza sopportare tempi lunghi di trasferimento, chilometri, costi, traffico, stress. Entriamo in contatto con la nostra banca e facciamo disposizioni, bonifici e quant’altro comodamente da casa, con l’home banking. Effettuiamo on line acquisti più comodi, con maggiori possibilità di scelta e, non di rado, a prezzi convenienti. In molti casi non andiamo più neppure al cinema (ci avete fatto caso alle sale semideserte?) perché l’offerta delle piattaforme televisive digitali è amplissima e sovente di ottima qualità. In questi e tanti altri casi simili, i vantaggi sono evidenti, anzi, schiaccianti. Non ci vuol molto a prevedere che la tendenza rimarrà questa e che progressivamente ci aggireremo, chissà, in città con le saracinesche abbassate: negozi chiusi, uffici chiusi ecc.
Uno di questi casi anzidetti riguarda le modalità di lavoro. È il cosiddetto smart working, in italiano “antico” detto telelavoro, che come parola poteva anche bastare, senza ricorrere all’espressione anglosassone. Sorvoleremo in questa sede sugli aspetti giuridici del nuovo rapporto di lavoro (e sul fatto che telelavoro e smart working non siano esattamente la stessa cosa). Ma la sostanza del nostro discorso (che è antropologico) non cambia. Del resto sono state già inventate altre formule equivalenti, come lavoro da remoto (cioè da lontano, per chi non ha troppa familiarità con un termine che era ormai relegato solo alle grammatiche) o lavoro agile o lavoro da casa o lavoro intelligente, appunto.
Il lavoro a distanza, com’è noto, ha avuto la sua impennata ai tempi della pandemia di Covid. Contrariamente a certe previsioni, però, passata l’emergenza Covid, il lavoro a distanza non è affatto passato. Anzi, pare che continui a dilagare a macchia d’olio. In alcuni casi, è ovvio, esso è impraticabile, come ad esempio nelle fabbriche o nell’agricoltura ed in altri lavori per i quali bisogna proprio andare in posti fisici e produrre cose materiali e concrete (almeno fino a quando non subentreranno massicciamente i robot e si moltiplicheranno le cosiddette “fabbriche automatiche”, che per la verità già esistono). In tutti gli altri casi, invece, nei quali il prodotto del lavoro è immateriale, è un servizio, una funzione, il telelavoro è praticabile. E i suoi vantaggi sembrano schiaccianti rispetto al lavoro in presenza.
Ci sono benefici evidenti per il lavoratore. Niente più risvegli antelucani, niente più file in auto, niente più consumi di carburante o pneumatici, niente più tempi morti e molti risparmi anche economici, oltre che di tempo. Ci si sveglia la mattina, forse non ci si lava nemmeno perché tanto gli odori on line non si percepiscono (per il momento), s’indossa una camicia e una cravatta e magari si resta, sotto, in pigiama o in mutande, se si ha l’accortezza di tenere ben nascoste le gambe sotto al tavolo, quando il telelavoro è un collegamento a distanza con altre persone.
In questo modo di lavorare il dipendente ha molto più tempo a disposizione per se stesso, per la propria famiglia, per i propri svaghi, per coltivare magari il proprio spirito. Può lavorare anche se è infortunato o comunque con ridotta o nulla mobilità. E non si becca il maltempo o un contagio d’influenza sui mezzi pubblici, e può badare ai propri figli, se ne ha in età scolare. E via di questo passo.
Anche per le aziende i vantaggi sembrano assai notevoli. Si riducono le spese per gli uffici (servono meno spazi, si hanno risparmi di energia, acqua e d’altri costi); i dipendenti sono più soddisfatti e produttivi (secondo vari sondaggi); i “workflow”, cioè i flussi e i processi di lavoro si semplificano e si velocizzano; si riduce anche l’assenteismo. Inoltre i lavoratori aumentano le proprie competenze informatiche (è giocoforza), con vantaggio per sé e per il datore di lavoro. Tanti benefici, insomma.
Non solo. Ci sono vantaggi anche per l’ambiente. Se si riduce il traffico veicolare, si riduce anche l’inquinamento, ovvio. Secondo i dati dell’Enea, nel 2020 si sarebbero risparmiati 46 milioni di chilometri percorsi, si sarebbero ridotte di 8mila tonnellate le emissioni di CO2, di 1,75 tonnellate le emissioni di PM10, di 17,9 tonnellate le emissioni di ossido di azoto, con un corrispondente risparmio economico annuo complessivo di circa 4 milioni in mancato acquisto di carburante.
Prendete pure questi ultimi dati (di cui non ci assumiamo nessuna responsabilità, perché li abbiamo reperiti da qualche parte sul web) con beneficio d’inventario: ma numeri a parte, la sostanza non cambia: questo telelavoro porta grandi benefici proprio a tutti, sembrerebbe. Come osare dunque parlarne male? E poi, in ogni caso, si tratta probabilmente di una tendenza che ha tutta l’aria di essere inarrestabile, incontrastabile, irreversibile. Tant’è.
E dunque, possiamo concludere che, anche col lavoro da remoto, siamo “nel migliore dei mondi possibili”? Può darsi che sia così, ma mettiamo questa faccenda del telelavoro nel paniere degli altri agi e comfort ai quali accennavamo all’inizio: acquisti on line, banca on line, cinema on line, svago on line, pubblica amministrazione on line, contatti con enti e uffici on line, visite – grazie al cosiddetto metaverso – di luoghi fisici i più disparati, pure on line. Tutto per via telematica. L’universo mondo, può essere conosciuto e interrogato grazie al web. Possiamo però prefigurarci che si vada delineando una realtà fatta di monadi isolate, di gente che non si vede e non s’incontra e non si stringe la mano e non si dà una pacca sulla spalla. Di gente che non attraversa più il mondo e non si smarrisce in esso: fatto salvo, s’intende, il mondo virtuale, esplorato, quello sì, tramite i nostri terminali intelligenti, tutti molto smart, si sa.
Ma che vita sarà questa vita in cui ciascuno resta a casa propria, senza potersi confrontare veramente con i colleghi, con i propri simili, senza fare magari qualche umano pettegolezzo, senza scambiare quattro chiacchiere, senza condividere esperienze di lavoro, senza le amicizie che tanto spesso si stringono proprio nell’ambiente di lavoro. Che ne sarà di una miriade di dipendenti e di lavoratori isolati, chiusi nelle loro scatole abitative o affini? Che ne sarà di una situazione nella quale diventa davvero difficile distinguere l’ambito privato, domestico e familiare da quello diciamo pubblico del lavoro?
Queste “magnifiche sorti e progressive”, di cui il lavoro a distanza è solo uno dei tanti tasselli, saranno poi tanto magnifiche e tanto progressive? E se non lo fossero, che rimedio c’è? Il timore è che il rimedio proprio non ci sia. Ma almeno parlarne forse non guasta. Forse non guasta rendersi consapevoli del tipo di futuro che si prefigura.
La china discendente verso un mondo sempre più virtuale (cioè “finto”) e sempre meno “reale” sembra inevitabile. Per fortuna ormai moltissimi di noi, attraverso i cosiddetti “social” (altra aberrante occorrenza dell’era telematica?) sono pieni zeppi a decine, a centinaia, a migliaia, di presunti o sedicenti “amici”. Ce ne resteremo dunque chiusi nel nostro “piccolo mondo moderno”? E magari un giorno saremo addirittura privi del lavoro stesso, quando la famosa (o famigerata) Intelligenza Artificiale avrà imparato a fare tutto quello che facciamo noi, e lo farà meglio, e lo farà molto ma molto più in fretta e anche a costi minori?…
Ma questa è un’altra storia.