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4 Maggio 2025Il Presidente americano minaccia di tagliare fondi per la ricerca ad alcune prestigiose università degli Stati Uniti “se non concederanno al governo potere di influenza su programmi, criteri di ammissione, ricerca e l’amministrazione dei campus”. (Il Post del 16.4.25). Sono interessate a questi tagli, tra le altre, Harvard, Columbia, Brown, Cornell, Northwestern, Pensiylvania, Princeton, università collocate in Stati con maggioranza democratica; ed altre sono sotto osservazione (“Perché Trump ce l’ha con le università americane”, Il Post, 16.4.2025.)
La motivazione ricorrente dell’iniziativa del governo consiste nella mancanza di contrasto all’antisemitismo da parte delle università, ma i motivi sono molteplici: l’accusa del governo e della destra americana è quella di essere diventate istituzioni di sinistra, ma di una sinistra estremista, di essere sedi dell’attivismo woke.
Woke, un movimento nato col significato di “risveglio”, “consapevolezza”, di attenzione alle differenze di genere ed etnia, composto da attivisti per i diritti delle minoranze e delle donne e contro il razzismo. Si è evoluto poi in un atteggiamento dogmatico e intollerante; come successo per altri movimenti o atteggiamenti, si è trasformato in criteri di comportamento che gli adepti vogliono imporre segnalando chi non si adegua. Negli Usa così lo raffigura la destra, ed è criticato anche da una parte della sinistra per l’atteggiamento intollerante e contrario al dialogo .
In effetti, il movimento woke e quello per il “politicamente corretto” hanno creato un clima pesante nelle università. Sono stati aperti sportelli per la denuncia non solo di abusi e violenze (questa sacrosanta, scrive in un articolo de Il Gazzettino Luca Ricolfi), ma anche di linguaggi o espressioni di idee o sentimenti non conformi ai dettami woke.
Il credo woke è piuttosto indeterminato, non ci sono monitori, chiunque può ricorrere a questo sterminato self-service per esercitare una attività censoria: una attività alla portata di tutti, che non tiene conto dell’intenzione con cui è pronunciata una parola, con cui una persona si è espressa; una attività consona ad una sorta di tribunale del popolo bramato da tanti improvvisati giustizialisti. Un cosa infatti è l’apprezzabile atteggiamento di rispetto nei confronti di minoranze e persone, da testimoniare con l’educazione e l’esempio, un’altra cosa è un atteggiamento impositivo che, usando richiami moralistici, è più difficile da contrastare.
Ma perché tali movimenti hanno successo? Nelle università è facile la loro diffusione perché si coniugano con la voglia di contestazione, tipica di tanti studenti, dei codici di comportamento diffusi in generale nella società. Sono intrisi di aspirazione risarcitoria, soprattutto verso le etnie afroamericane o di origine caraibica per i soprusi patiti nel passato, anche lontano, una aspirazione considerata nobilitante e assolutoria da chi la propugna; è di facile applicazione e immediata soddisfazione.
Al di fuori degli Usa, nel nostro Paese soprattutto il “politicamente corretto” ha successo tra tanti cittadini entusiasti di questo nuovo vangelo, un nuovo credo di stampo categorico che permette a chiunque di lanciare anatemi; è congeniale a tanti per la sua carica di intolleranza, non essendo accompagnato da atteggiamenti educativi. (Rimando al mio articolo https://www.luminosigiorni.it/cultura/il-politicamente-corretto-una-pericolosa-mania/) del 2017.
Analogamente si è tentata la diffusione, soprattutto negli USA, della “cancel culture”, una forma di boicottaggio verso un autore o un’opera, per esempio un libro, a volte di tipo preventivo quale la richiesta di non pubblicarlo. Una “cultura” che è stata contrastata dalla netta presa di posizione di circa 150 eminenti scrittori, accademici e artisti, comparsa su Harper’s Magazine nel luglio 2020 (tra cui Noam Chomsky, Francis Fukuyama, Salman Rushdie). (Harper’s Magazine, A Letter on Justice and Open Debate https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&opi=89978449&url=https://harpers.org/a-letter-on-justice-and-open-debate/).
Per le suddette università statunitensi il finanziamento pubblico non è un diritto, afferma Trump, che pone condizioni per usufruirne: alcune inaccettabili , anche per la loro indeterminatezza (per esempio non ammettere studenti “ostili ai valori e alle istituzioni americane”); altre condivisibili, come evitare vessazioni anti-semite. Altre ancora sostenibili, quali evitare politiche di ammissione di studenti, e di reclutamento di insegnanti, sulla base di razza, religione, sesso, origine nazionale e orientamento politico-ideologico (si rimanda all’articolo di Luca Ricolfi Uguaglianza, libertà e woke. La vera storia di Harvard Il Gazzettino del 20.4.25). L’attivismo woke ha così finito per soffocare la libertà accademica.
Sono università molto quotate, e molto costose, in concorrenza tra di loro per raccogliere iscrizioni e donazioni. Per inciso, la Columbia University nel 2022 è stata retrocessa, nella classifica delle più prestigiose, dal 2° al 18° posto da una agenzia americana, la US News&World Report, per aver truccato dati statistici nella sua pubblicità autopromozionale.
In Italia, l’iniziativa di Trump è stata presentata come totalmente ripudiabile, e così appare se consideriamo l’insopportabile tenore dell’annuncio, tipico del Presidente USA; anche se i media, in generale, dovrebbero approfondire le iniziative politiche e le situazioni in oggetto, invece di fornire resoconti di comodo, quei resoconti che i propri lettori amano ricevere.
Se il quadro dei campus e di queste università presenta tali storture, fermarsi a condannare l’atteggiamento rozzo e categorico di Donald Trump vuol dire sorvolare sull’essenza del problema, che non è tanto il finanziamento o meno di istituti che fanno politica avversa, ma il finanziamento di istituti che favoriscono una politica discriminatoria e di esclusione.
Le università, in USA come altrove nel mondo, dovrebbero essere àmbiti di dialettica e confronto, e non certo di ostracismi e crociate . “…la domanda quindi – scrive Luca Ricolfi nell’articolo su Il Gazzettino – non è ‘riuscirà Harvard a resistere alle ingerenze di Trump?’ bensì: riuscirà Harvard a tornare un’università normale, in cui chiunque possa sentirsi libero di esprimere il suo pensiero, anche se contrasta con l’ortodossia woke?”.