Politicamente scorrettissimo, ma ci sta
27 Giugno 2018Venezia? Bella ma.. ci vivrei!
10 Luglio 2018Un paio di editoriali fa il nostro Direttore, Carlo Rubini, si è interrogato su un antico dilemma: le vicende narrate dalla Storia hanno seguito un certo corso invece di un altro perché era “inevitabile” andasse così? Oppure esiste un certo margine d’intervento sulle circostanze di base, per esempio da parte della volontà umana, che permetta di sfuggire a un determinismo cieco?
La questione non è nuova, anzi, è antica quanto il riflettere dell’uomo sul proprio passato. Al punto d’attraversare ogni sua stagione, rimanendo sostanzialmente inevasa.
La colpa principale è proprio degli storici. Questi, di norma, si fanno schiacciare da quanto raccontano e sono i primi a creare nel lettore la falsa credenza dell’inevitabilità del corso avuto dagli eventi. La quale, se fosse vera, porterebbe una conseguenza di cui ci si dimentica con troppa facilità: il futuro diventerebbe prevedibile.
Non dovrebbe sfuggire, infatti, che se a certe premesse derivassero per “necessità” alcuni esiti inevitabili allora noi, disponendo di adeguate conoscenza del passato e di sufficiente capacità di analisi, saremmo in grado di sapere in anticipo cosa accadrà domani.
È la classica trappola in cui sono caduti tutti gli storicismi, per finire con il più celebre e famoso e cioè il marxismo: non per caso autodefinitosi a un certo punto “socialismo scientifico”.
Perché e dove ha fallito il marxismo? Senza dubbio nella sua capacità di predire il domani. Al pari di qualunque altro tentativo simile. Dunque, non è affatto vero che a premesse date corrispondano per forza conseguenze “necessarie”. La prova migliore l’abbiamo avuta nei fatti alla fine del Novecento, sul piano teorico, però, resta forse insuperata la critica fatta a suo tempo da Karl Popper nel suo “Miseria dello storicismo”.
Il marxismo, invece, conserva a sorpresa una straordinaria validità come strumento di analisi. Non per nulla oggi è oggetto di riscoperta. La “descrizione” dei meccanismi economici e sociali fatta dal pensatore di Treviri e dai suoi migliori epigoni, infatti, si dimostra efficace per comprendere quanto accade nel nostro mondo.
Sembrerebbe una contraddizione. Forse questo accade perché Marx ha assorbito e mantenuto, sviluppandoli all’interno della propria riflessione, spunti già presenti nel pensiero di altri: da Adam Smith, il quale è il primo a mettere in luce ne “La ricchezza delle Nazioni” la natura autodistruttiva del capitalismo senza regole; a Pierre-Joseph Proudhon, il vero inventore dei concetti di pluslavoro e plusvalore nel “Sistema delle contraddizioni economiche, o Filosofia della miseria”, solo per citare due nomi.
Certo, oggi che viviamo in un’epoca di “crescita senza creazione di lavoro” torna subito in mente anche la singolare figura del rivoluzionario anti-macchine, forse neppure mai esistito, Ned Ludd.
Insomma, la Storia si presta a produrre la convinzione che sia “andata come era inevitabile andasse”, ma se approfondiamo scopriamo un racconto con un messaggio assai diverso.
Tanto per riprendere il filo dei ragionamenti di Carlo, partiamo dal problema geografico: questa sì ha da sempre un gran peso! In un senso diverso, però, da quanto indicato nell’editoriale. La Geografia influisce perché crea inevitabili “assi di scorrimento degli eventi”, se posso usare l’espressione.
Mi spiego. Se l’uomo non si dedicasse da sempre alla produzione di beni e al loro commercio, per l’obiettiva necessità di procurarsi quelli mancanti e per semplice sete di guadagno, forse non staremmo qui a parlarne. Il commercio, però, in realtà è il “motore del Mondo”, come scrisse più d’uno in passato, ma io qui viglio ricordare un grande pensatore strategico americano, Alfred T. Mahan nel volume “L’influenza del potere marittimo sulla Storia, 1660-1783”.
Un motore che fa girare le sue merci lungo il complesso sistema delle “vie di comunicazione”: terrestri, certo, ma soprattutto marittime. Perché a tutt’oggi non esiste mezzo di trasporto più efficiente e sicuro della nave.
Osservazione banale: la Terra è chiamato “pianeta azzurro” per la semplice ragione che gran parte della sua superficie è occupata dall’acqua.
Sloc: sea lines of comunications. Il solito acronimo inglese per esemplificare il concetto. Immaginiamole come strade. Chi ne ha il controllo finisce per avere in mano il commercio mondiale. La Geografia, improvvisamente, acquista significato strategico.
Qualcuno obietterà che, Americhe e Oceania a parte, le terre emerse si presentano come una massa abbastanza compatta. In fondo, il famoso commercio potrebbe svolgersi evitando di bagnarsi i piedi.
L’osservazione non è per niente peregrina, tant’è che colui che è considerato il fondatore della geopolitica, l’inglese Alfred Mackinder, immagina in “The Geographical Pivot of History” che l’avvento del treno e la possibilità di trasporto attraverso il cuore del continentale del Pianeta rendesse questo autosufficiente: la chiamò isola-Mondo e arrivò a sostenere che chi avesse avuto il controllo del suo “centro” o Heartland, pensava a Germania o Russia, avrebbe in via automatica avuto il dominio del Mondo. Hitler è partito da qui. Stalin e Mao pure, anche se per il georgiano risultavano altrettanto forti altre suggestioni di epoca “zarista” e per il cinese asiatiche d’altro tipo.
Al pari di tante altre “previsioni”, anche questa si è rivelata sballata. La lotta millenaria per il dominio della Terra continua imperterrita a svolgersi sotto i nostri occhi, contrappone in linea di massima le grandi potenze “terrestri” a quelle “marittime” però a parte il caso dell’Impero Mongolo di Temujin/Gengis Khan a prevalere pare siano in genere le seconde.
E allora? Di sicuro bisogna impegnarsi nello studio del passato e nell’analisi del presente con gli strumenti a nostra disposizione: altro non possiamo fare per provare a capire il presente, forse a immaginare il domani. Lo è altrettanto, però, che non siamo in grado di “predire” il futuro. Troppe le variabili in gioco. Una soprattutto distrugge sempre le nostre sicurezze: la volontà umana.
Imprevedibile, bizzarra, sempre fuori controllo. Aggiungiamoci il fatto che non si tratta della volontà di un singolo ma di miliardi di persone. Le quali interagiscono nei modi più diversi.
Tra l’altro, noi, come ammoniscono con sconcertante regolarità i pensatori strategici, siamo come le armate di ogni tempo: prontissimi ad affrontare l’ultima guerra che si è combattuta, mai quella che realmente ci troviamo di fronte. Esempio che possiamo estendere al quotidiano di ognuno di noi.
Proprio tale ragionamento, però, dovrebbe metterci in guardia dal ritenere necessario&inevitabile quanto accaduto nel passato. Remoto o prossimo che sia. È di sicuro comodo e rassicurante: ci “spiega” l’accaduto con la forza della ragionevolezza dei fatti accaduti. Peccato sia solo una nostra deformazione.
Facciamo un esempio: se sul ponte di Arcole i pur lodevoli e professionali fanti imperiali austriaci invece di non piazzare una sola, singola, palla di piombo addosso a Napoleone Bonaparte fossero riusciti in quanto era “ragionevole” pensare, perché rientrava nelle loro capacità tecniche e nell’oggettivo andamento del combattimento quindi nelle premesse, e avessero “steso” o almeno ferito il generale còrso … quale Storia racconteremmo adesso?
Carlo Rubini ha chiamato in causa i nostalgici della Repubblica di Venezia, quindi la scelta non è casuale. Non è certo, però, l’unico episodio in tal senso di una campagna fatale per le sorti della Serenissima. Il 1796 offre infinite situazioni in cui di “necessario” non c’è proprio nulla.
A parte il fatto che i francesi fossero in Italia e gli austriaci pure. Torna in ballo la Geografia. Volendo usare un’espressione più precisa, le “costanti geopolitiche di lungo periodo”, l’unico dato davvero inevitabile e necessario nel Cosmo liquido dominio del Caso. Cioè dall’incrocio/scontro senza fine di volontà singole e collettive variamente miscelate dal gran sommelier il Caos.