
8 Marzo
11 Marzo 2025
L’Europa davanti allo spettro della post democrazia
12 Marzo 2025Allo scoppio dell’aggressione russa in Ucraina, una parte verosimilmente minoritaria ma comunque cospicua dell’opinione pubblica si è dimostrata, in varia misura, contraria o restia all’appoggio alla resistenza ucraina fornito dallo schieramento occidentale. Le motivazioni profonde, i sentimenti autentici, agiti in parte anche inconsapevolmente, e in parte sovrapponibili di questo posizionamento erano tre: 1) il menefreghismo, 2) il pacifismo e 3) l’antiamericanismo. Vediamoli uno per uno.
Menefreghismo: è la postura riassumibile sinteticamente nel retropensiero (ovviamente mai espresso esplicitamente) “ma che m’importa dell’Ucraina, con questa guerra il gas è aumentato, non esportiamo più in Russia, spendiamo soldi nostri per gli aiuti, dobbiamo pure ospitare i profughi e in fin dei conti Putin mi piace, è un tipo cazzuto che fa i suoi interessi. Abbiamo solo da perderci. La lesione del diritto internazionale, il dovere morale di aiutare la democrazia, la dignità, la solidarietà europea..? Sono tutte cose che non accettano alla cassa del supermercato”. Atteggiamento molto diffuso, ahimè, nella pancia del Paese e sostanzialmente incarnato da Salvini (cito un personaggio politico solo per capirci.. in questo articolo mi interessa focalizzarmi sull’opinione pubblica, non sui posizionamenti dei vari partiti politici).
Pacifismo: è il credo che assume come unica possibilità un assoluto e radicale irenismo, secondo il quale la guerra è sempre da evitare perché le sofferenze e le atrocità che questa inevitabilmente comporta non hanno in nessun caso una contropartita accettabile. Mai reagire, al massimo operare una “reazione non violenta” (qualunque cosa significhi), anche di fronte alla prepotenza e all’atto di forza, anche a fronte di rinunce ideali, anche a costo di ignorare le violazioni di diritti e le atrocità che accadono intorno. Come Emergency che (coerentemente col suo credo pacifista) in Afghanistan curava tutti, anche il talebano che, una volta dimesso, sarebbe tornato a tagliare gole e a vessare le donne di casa.
Antiamericanismo. Lo chiamo così per sintesi ma è in realtà un sentimento molto variegato. Trova humus fertile nel diffuso senso di astio verso gli americani e il modello di società capitalista che essi incarnano e su questo si innestano varie pulsioni, si nutre di simpatie per la Russia vista ancora (incredibilmente) come il campione di un’utopia grandiosa ancorché mai realizzata, di un sentimento ipercritico e autoflagellante per il mondo occidentale e il suo ruolo nella Storia, asseritamente colpevole delle peggiori nequizie salvo poi, con somma incongruenza, richiamarne i valori universali (un esempio preclaro di questa inconsapevole contraddizione lo abbiamo pure ospitato nella nostra testata (https://www.luminosigiorni.it/cultura/pace-guerra-tra-etica-e-realismo/). Per intenderci, è la narrazione del Fatto Quotidiano: la Russia ha risposto alla provocazione dei nazisti che governano a Kiev, la guerra la vogliono gli USA neocolonialisti e vigliacchi che fanno fare agli ucraini una guerra per procura, ci vogliono vendere il gas al quadruplo della Russia, vogliono fare durare la guerra il più possibile per vendere armi, per far crollare la Russia ecc., noi europei siamo insieme pippe e guerrafondai, e allora quella volta che la NATO ha bombardato la Serbia?, in Ucraina, Romania, Moldavia, Georgia ci sono stati golpe orditi dagli americani, in realtà le popolazioni locali adoravano gli aspiranti satrapi sostenitori della sottomissione a Mosca.. e così via.
Questo lo scenario dall’inizio della guerra. Poi è arrivato il ciclone Trump. Che ha operato una conversione a 180 gradi della politica USA di appoggio all’Ucraina col fine di imporre presto la pace. Una pace qualsiasi, anche iniqua, anche che trasformi l’aggressore in aggredito, che conceda a Putin una vittoria che sul campo non ha conseguito e soprattutto una pace che non garantisca alcuna sicurezza futura alla (menomata) Ucraina. Tutto ciò ha inevitabilmente rimescolato le carte. Non per i pacifisti, ai quali va di lusso. In prima battuta The Donald ha fatto felici pure i menefreghisti. Poi però la combriccola che si è insediata alla Casa Bianca ha un po’ debordato e tra dazi, imposizioni varie e la pretesa che l’Europa si difenda da sola, rischia di fare più danni al portafoglio della guerra in Ucraina. Ed è di poca consolazione che un geniale politico del nostro Paese veda una grande opportunità pure sui dazi imposti alle nostre esportazioni. Lo stesso politico che, superata ogni soglia di ridicolo, ha indetto una bella manifestazione per la pace intesa in senso.. olistico. Pace in Ucraina e.. fiscale. Incommentabile.
Per il variegato fronte degli antiamericanisti invece le cose si sono complicate. È venuto meno il fondamento della narrazione anti USA visto che il Presidente ha mostrato di non avere a cuore nessuno degli obiettivi che si rimproveravano agli Stati Uniti. D’altro canto, l’essere umano medio è comunque dotato di una dignità e un senso almeno estetico delle cose per cui ai più è risultato difficile ignorare la brutalità, l’intima essenza dittatoriale, la ripugnanza che suscita il nuovo inquilino della Casa Bianca e la corte di scherani di cui si è circondato. Per quanto prevenuti, ideologizzati, amanti della provocazione e del paradosso, non si può non rimanere disgustati da, per esempio, il comportamento mafioso tenuto con Zelensky nello Studio Ovale. Insomma, per molti (e dal mio punto di vista è un titolo di merito, s’intende), pur critici della guerra dal primo giorno, la vicenda non si poteva semplicemente chiudere con un “bravo Trump, good job”. Dunque, i già antiamericanisti si trovano nella condizione di essere privati sia della confortante agibilità di parlare male degli USA e, insieme, di non poterne parlare bene (pena la decenza). Da cui tutto un riposizionamento della narrazione che dagli USA sposta l’esecrazione e le critiche sull’Europa che, imbelle e in malafede, non ha saputo parlare di pace, non ha voluto prendere in mano il filo dei negoziati, si è autocondannata all’irrilevanza e così via. Il campo di confronto è dunque mutato: dall’Ucraina all’Europa stessa.
Ma una novità determinante ha ulteriormente mischiato le carte: è apparso chiaro a tutti (tranne che all’Intelletto Superiore che ha concepito il binomio pace in Ucraina/pace fiscale) che Trump, tra tanti ondivaghi atteggiamenti, persegue un obiettivo palese: il disimpegno dall’Europa, che vede, se non come un nemico (l’UE è nata to screw gli americani, cit. di The Donald), come un fastidioso fardello dal punto di vista militare, un competitore da schiacciare/asservire dal punto di vista commerciale e, last but not least, un soggetto geopolitico irrilevante e da mantenere tale. Non solo: l’orrida sequenza degli avvenimenti nell’altra sponda dell’Atlantico, il manifestarsi di personaggi tra l’improponibile e il disgustoso, l’esplicito endorsement alla peggiore feccia politica nel nostro continente, dimostrano un’involuzione della democrazia americana che si porta sempre più verso una democratura, una democrazia autoritaria, in cui chi vince le elezioni takes all, che può tranquillamente disporre dei poteri che nella visione classica sono il contrappeso dell’esecutivo. Speriamo naturalmente di no, e facciamo tutti il tifo per i meccanismi difensivi del sistema americano, ma oggettivamente ad oggi questo è un rischio concreto.
L’Europa, dunque, si trova doppiamente sola: sia come baluardo del modello di libertà della democrazia liberale (con tutti i suoi difetti) sia come soggetto geopolitico che agisca nello scacchiere internazionale per la pace. Obiettivo per il quale è necessario esercitare una funzione di deterrenza anche militare (che fino ad oggi è stata delegata agli Stati Uniti), agendo l’antica massima si vis pacem para bellum. Questa doppia valenza, pace e libertà, è molto bene rappresentata da queste parole di Michele Serra: Per le strette che la storia impone, sappiamo bene che è faticoso e difficile tenerle insieme, la pace e la libertà. Tanto è vero che, nella serrata discussione di questi giorni, qualcuno ha detto: prima la pace. Qualcun altro ha detto: prima la libertà. Ma “Europa” vuol dire, sia pure nell’empireo dei princìpi, che le due cose non possono che stare assieme, perché l’una senza l’altra non può esistere. Non c’è libertà sotto le bombe, e la pace, senza la libertà, è solo una truffa, come quella che Trump e Putin stanno architettando oggi sulla pelle degli ucraini, domani sulle macerie di Gaza, dopodomani chissà.
Si è aperta dunque l’enorme questione della difesa europea autonoma e, more solito, l’opinione pubblica si è divisa:
• C’è chi pensa che sia necessario che l’Europa si doti di una capacità militare (in senso difensivo, ça va sans dire) anche a costo di un pesantissimo tributo in termini di spesa pubblica. Per trasparenza, dichiaro subito che questa è la mia posizione e sposo in pieno questa parole di Claude Malhauret https://www.luminosigiorni.it/cultura/nel-momento-piu-critico-della-sua-storia-leuropa-deve-accelerare-gli-aiuti-militari-allucraina-per-compensare-labbandono-americano/ .
• C’è chi in linea di principio concorda con quanto sopra ma ha molti mal di pancia non solo sui costi ma sui meccanismi decisionali, sui tempi, sulle priorità (prima un esercito comune europeo e non investimenti sui singoli eserciti nazionali), sulle modalità (il Piano von der Leyen appare confuso e improvvisato). Sono perplessità comprensibili in molti casi, in altri suonano un po’ come scuse per buttare la palla in tribuna. Sarebbe troppo lungo (e probabilmente noioso) entrare nei dettagli e nei distinguo.
• Infine, una vasta e variegata (anche politicamente) porzione di cittadini ritiene che non ci sono santi, esclude per qualsiasi motivo ogni investimento (anzi ogni spreco, dal suo punto di vista) in armamenti o tecnologie militari.
Le motivazioni di quest’ultimo gruppo sono di carattere etico (quelle dei pacifisti descritti sopra) e, okay, coerenti. Poi ci sono quelli che ricordano che i mostruosi investimenti sono debiti che imponiamo alle prossime generazioni e/o che potrebbero essere spesi per welfare, sanità, scuola. Tutto vero ma è il solito ragionamento monodimensionale: si vede solo un piatto della bilancia. Però anche qui siamo nel merito di una ratio, imperfetta e incompleta (a parere di chi scrive) ma sempre una ratio è.

Una classica argomentazione
Ma c’è una terza postura che davvero non è giustificabile. È quella di coloro che semplicemente ritengono che non sussista la necessità di armarsi perché non abbiamo nemici. Di quelli che blaterano di un’Europa guerrafondaia contrapposta all’Europa libera, unita, giusta, solidale e di pace. Che si chiedono che cosa freghi a Putin di invadere i paesi europei. Che se avesse voluto ci avrebbe provato in questo 3 anni (letto anche questo!). Che la soluzione è semplicemente fare proposte di pace alternative a quelle di Trump. Alimentando il malinteso che l’Europa che si riarma è un’Europa guerrafondaia mentre è esattamente il contrario: crea deterrenza. Sorvolando sul fatto che Putin ha in mille modi dimostrato di avere mire espansionistiche e che finora avevamo l’ombrello della NATO ma che questo potrebbe non esserci più (o per mantenerlo dovremo aumentare la spesa militare). Dimenticando che certo a Putin non interessa far abbeverare i cavalli dei cosacchi nelle fontane di Roma ma che ci sono i Paesi baltici, la Polonia, la Moldavia e la Romania, che il pretesto delle minoranze di lingua russa è sempre pronto, che c’è l’enclave di Kaliningrad.. insomma, una volontà di potenza che vuole intaccare nel profondo la constituency stessa dell’Europa e dire “tanto Putin non invaderà mai l’Italia” è, semplicemente, non cogliere la visione complessiva di quello che sta accadendoci.
E, spiace dirlo, in questo peloso understatement si legge tra le righe ma “che ci frega dell’Ucraina, dei baltici, della Polonia e di chissà chi, basta che Putin non ce l’abbia con noi”. E viene non solo da figuri come Salvini o Vannacci, ma da fior di (presunti) intellettuali di sinistra-sinistra, così pronti a celebrare i valori della Resistenza, così solleciti nella tutela del politically correct, così attenti ai diritti delle minoranze, così solerti nel denunciare derive autoritarie da noi. Eppure.. quando c’è da assumersi le responsabilità che il momento storico richiede allora no, allora a Putin non interessa. Come se i nostri nonni e bisnonni partigiani avessero pensato “ma tanto non sono né ebreo, né zingaro, né comunista, i nazisti mica se la prenderanno con me. Io sono per la pace”.
Parrucconi ipocriti. Ecco cosa sono.